23 dicembre 2016 14:30

Ancora una volta la Grecia si è fermata. L’8 dicembre, rispondendo all’appello dei sindacati del pubblico impiego e del settore privato, uno sciopero generale ha paralizzato la città di Atene. Piazza Syntagma è tornata a essere il teatro di scene di oppressione e di resistenza, e delle disfunzioni sistemiche delle istituzioni democratiche, incapaci di sostenere il processo d’emancipazione collettiva. Il parlamento greco si è trasformato in un bunker che soffoca la voce dei cittadini invece di amplificarla.

Due giorni prima le strade del quartiere di Exarchia andavano a fuoco. Le auto e i cassonetti di strade come Zaimi, Bouboulinas e Stournari erano diventate dei giganteschi roghi intorno ai quali più di duecento poliziotti assediavano i manifestanti. Sono passati otto anni da quando, il 6 dicembre, la polizia ha sparato ad Alexandros Grigoropoulos, che aveva solo 15 anni. Migliaia di studenti erano tornati nuovamente in piazza per protestare contro la violenza della polizia, contro la corruzione della pubblica amministrazione, contro la criminalizzazione dei migranti e la loro reclusione in centri di detenzione, contro l’avidità delle aziende private, contro il saccheggio delle risorse turistiche e naturali.

Tripla discriminazione
La Grecia è l’inconscio represso dell’Europa. Al contempo pattumiera e frontiera, vello d’oro e risorsa inesauribile della comunità europea, la Grecia è stata costruita attraverso una tripla discriminazione: razziale, sessuale ed economica. Da un lato, viene celebrata nell’immaginario storico come la culla dell’occidente: il rinascimento borghese e coloniale ha inventato un corpus greco (monumenti, archivio, testo e corpo) bianco e cristiano, ha glorificato una Grecia che non è mai esistita (i greci non sono mai stati esattamente bianchi né strettamente cristiani) e ha negato la realtà orientale e ibrida della vera Grecia.

Dall’altro, l’Unione europea ha ridotto la Grecia alla posizione della lavoratrice del sesso: la erotizza come destinazione turistica e allo stesso tempo la insulta, la costringe a indebitarsi e la desidera; le impedisce di viaggiare ma esige che allarghi le cosce davanti alla speculazione finanziaria e allo sfruttamento imprenditoriale. Infine l’Europa trasforma il territorio greco in una gigantesca rete di contenimento dell’immigrazione, trasformando le sue isole in centri di detenzione a cielo aperto.

Atene ha convertito la rivolta urbana in un festival pubblico della rabbia

Eppure la manifestazione e gli incendi, gli scioperi e gli arresti sono il segno che è impossibile distruggere completamente la resistenza. La Grecia non è la “nuda vita” di Agamben, ma il corpo ribelle e furioso di una moltitudine adolescente. Un misto di Virginie Despentes e i Nirvana: Teen spirit. Atene ha convertito la rivolta urbana in un festival pubblico della rabbia.

Alcuni giovani fumano tranquillamente in piazza Exarchia. Due minuti dopo indossano caschi da motociclista o tirano su i cappucci. Dai loro zaini Eastpack coperti di adesivi neri, bianchi e rossi estraggono delle piccole molotov e avanzano, disarmati di fronte al plotone di poliziotti, il cui equipaggiamento conferma che i ministeri dell’interno e della difesa sono gli unici a non aver subìto alcun taglio di bilancio. La protesta è una performance collettiva, di strada, che rende evidente il fatto che l’ultimo tratto politico a disposizione dello stato greco è, per usare le parole di Weber, il ricorso legittimo alla violenza.

Energia adolescenziale
Nonostante tra i manifestanti ci siano persone di ogni età, l’energia della protesta è senza dubbio adolescenziale. In questo fuoco arde qualcosa di giovanile e vitale. Se volessimo immaginare un racconto che sovrapponga la macropolitica statale e la micropolitica di genere, potremmo dire che lo stato di polizia ha assunto la funzione paterna, mentre lo stato sociale ha cercato di assumere le funzioni che il patriarcato aveva assegnato alla madre. Lo stato di polizia disciplina e punisce. Lo stato sociale cura e prevede. A partire da questa equazione, sarebbe possibile descrivere la Grecia di oggi come una famiglia nella quale lo stato di polizia-padre è alcolista, corrotto, violento e prevaricatore, mentre lo stato sociale-madre se n’è andato di casa e torna solo per chiedere i soldi.

Exarchia è la figlia schizofrenica di questa famiglia violenta e disfunzionale. L’unica relazione che lo stato intrattiene con i cittadini è di natura violenta e prevaricatrice. Senza protezioni di nessun tipo. In una situazione del genere, alla figlia adolescente non resta che urlare e bruciare i mobili. Ed è quello che succede a Exarchia ogni tre o quattro settimane. Potrebbe anche andarsene di casa e farsi una vita altrove, come hanno fatto quei gruppi che hanno occupato spazi per accogliere i migranti e che hanno fondato a Notara 36 o all’hotel City Plaza delle comunità alternative per sopravvivere.

È il momento di inventare una forma politica che mandi in corto circuito i modelli patriarcali di potere e di governo. Bisogna abbandonare la casa del padre e smettere di aspettare la madre. Exarchia deve vivere.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo è articolo è stato pubblicato sul quotidiano francese Libération.

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