18 marzo 2013 11:41

Per i parlamentari del Movimento 5 stelle (M5s) e per i sostenitori di Beppe Grillo ci sono due modi per analizzare l’elezione dei presidenti di camera e senato avvenuta il 16 marzo. La prima opzione è rallegrarsi di aver spinto il leader della coalizione di sinistra, Pier Luigi Bersani, ad aver proposto due nomi assolutamente nuovi nella politica italiana: Laura Boldrini, ex portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, a Montecitorio e Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, a palazzo Madama.

Oppure possono rammaricarsi di aver visto andare in frantumi la loro unanimità nel non sostenere nessun candidato già alla prima votazione importante della loro nuova carriera. Ma in entrambi i casi devono comunque ammettere, magari controvoglia, che Bersani – uscito piuttosto male dalle elezioni dove non ha ottenuto la maggioranza al senato – rimane ancora un abile uomo politico.

Infatti dopo aver dato l’impressione di voler proporre come candidati rispettivamente Dario Franceschini (alla camera) e Anna Finocchiaro (al senato), cioè due politici che hanno collezionato mandati su mandati, sabato Bersani ha tirato fuori dal cilindro due personalità elette per la prima volta il mese scorso e con un ammirevole percorso e impegno personale. Già l’effetto sorpresa era dalla sua. Per i neoparlamentari dell’M5s, che assaporavano l’idea di opporre un veto a dei “professionisti della politica”, è diventato difficile opporsi alla candidatura di una donna che ha passato la sua vita a soccorrere i profughi nei luoghi più pericolosi del mondo (Somalia, Afghanistan, ecc.) e di un uomo che ha contribuito tra le altre cose alla cattura nel 2006 del boss mafioso Bernardo Provenzano. In altre parole sia Laura Boldrini sia Pietro Grasso avrebbero potuto benissimo essere dei loro candidati.

Ma mentre l’elezione di Laura Boldrini alla camera è stata di fatto una pura formalità, visto che la sinistra disponeva della maggioranza dei seggi, quella di Grasso, che si presentava al quarto turno di votazione contro il presidente uscente del senato Renato Schifani, due volte messo sotto inchiesta per collusione mafiosa secondo il giornale Il Fatto quotidiano, è stata molto combattuta. I grillini hanno applaudito Laura Boldrini, per la quale non hanno votato fedelmente alle consegne ricevute. Ma si sono divisi su Grasso, che aveva bisogno del voto di alcuni di loro per vincere. Nonostante una riunione molto tesa, dove si erano ripromessi – ad alzata di mano ma lontano dalle telecamere – di votare scheda bianca secondo le consegne di Grillo, a quanto pare molti di loro non hanno rispettato la consegna. Con voto segreto hanno preferito sostenere l’ex magistrato antimafia, dimostrando così che non sono completamente sotto il controllo del loro mentore genovese.

Per ora questa decina di voti contrari basta a dare soddisfazione a Bersani, che dopo la vittoria mancata del 25 febbraio vuole dimostrare che gli eletti dell’M5s non formano un blocco uniforme. Facendo passare una sorta di piatto di tortellini fumanti sotto il naso di un affamato, il segretario del Pd cerca da due settimane di attirarli con proposte o candidature capaci di soddisfare il loro senso dell’etica. Le votazioni di sabato non lo mettono ancora nelle condizioni di poter formare il futuro governo, ma lo rimettono in gioco dopo che molti nel suo partito avevano scommesso sul fallimento di questa strategia.

In compenso per Grillo, che la sua condanna per omicidio colposo tiene fuori da parlamento a causa delle regole che lui stesso ha fissato al suo movimento, la partita si fa più complicata. I suoi parlamentari non gli sono tutti obbedienti e non sarà sempre facile guidarli dalla costa ligure. Per lui la cosa migliore sarebbe stato se la destra e la sinistra si fossero messe d’accordo su un candidato comune per meglio denunciare la loro collusione.

“Non c’è stata trasparenza nel voto al senato”, si è rammaricato Grillo sul suo blog. “L’eletto deve rispondere delle sue azioni ai cittadini con un voto palese. Se questo è vero in generale, per il Movimento 5 stelle, che fa della trasparenza uno dei suoi punti cardinali, vale ancora di più. Per questo vorrei che i senatori dell’M5s dichiarino il loro voto”. Segue un piccolo richiamo al regolamento, letto e approvato dai suoi parlamentari: “Le votazioni in aula sono decise a maggioranza dei parlamentari dell’M5s. Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo ha mentito agli elettori, spero ne tragga le dovute conseguenze”. Noi intanto aspettiamo.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it