01 luglio 2016 18:38

La commedia non è uguale per tutti. Lo sappiamo bene noi italiani che dividiamo il concetto tra Dante Alighieri e Nando Cicero. Perciò nessun problema a definire Tokyo Love Hotel di Hiroki Ryuichi una commedia, una commedia giapponese. Nelle stanze e nei corridoi di un albergo a ore del quartiere a luci rosse di Tokyo s’incrociano le storie di varie persone. Il direttore dell’albergo che sogna di lavorare in un grande hotel, fidanzato con una ragazza che sogna di fare strada nel campo della musica. Una squillo coreana al suo “ultimo giorno” di lavoro che vuole tornare in patria per aprire un negozio con la madre, ma non vorrebbe lasciare in Giappone il fidanzato. Una cameriera vagamente impicciona con un inquietante segreto nell’armadio di casa, poliziotti fedifraghi, ragazze che hanno abbandonato la famiglia, aspiranti papponi, la troupe che gira un film porno.

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In una lunga ed estenuante giornata Ryuichi prova a mostrarci qualche scorcio del Giappone contemporaneo. Alcune cose risultano insolite e possono colpire chi non è un conoscitore della cultura nipponica, ma la sensazione generale è di una società che si sta perdendo. Come un bambino che sta per entrare in un bosco dal quale sarà difficile riuscire fuori. Non è un film leggero, anche se, soprattutto attraverso qualche canzoncina pop, il regista prova qua e là a alleviare la pena e l’angoscia che serpeggia, come a suggerirci che grazie all’amore nel bosco si può riuscire a sopravvivere. Una curiosità, nel ruolo della ragazza che sogna una carriera da pop star c’è Maeda Atsuko che prima di diventare attrice è diventata arcifamosa nella girl band Akb48. Poi ha mollato tutto per abbracciare il progetto (abbastanza indie) di Hiroki Ryuichi. Segno forse che qualcuno nutre ancora delle speranze e crede nella musica, nel cinema e nell’amore.

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Bad City è un luogo che potrebbe essere ovunque. Una classica ambientazione da film di genere, il classico sporco buco in mezzo al nulla perfetto per un western di Sergio Leone. Invece in A girl walks home alone at night siamo in Iran. Il film di Ana Lily Amirpour completa minirassegna sul cinema iraniano Nuovo cinema Teheran, organizzata dalla distribuzione Academy Two. La completa in vari sensi. Infatti, anche se un po’ indirettamente affronta temi di attualità nella cultura iraniana, come la condizione della donna o la diffusione dell’eroina, è atipico rispetto agli altri programmati nella rassegna. Una diversità che si nota immediatamente, a partire dalla magnifica colonna sonora.

La regista, Ana Lily Amirpour, è nata in Iran ma vive e lavora da tempo negli Stati Uniti. La protagonista, Sheila Vand (vista recentemente in Whiskey Tango Foxtrot) è statunitense a tutti gli effetti, anche se vanta origini persiane. Il protagonista, Arash Marandi, è nato a Teheran, ma è cresciuto professionalmente in Germania. E anche Bad City, Iran, in realtà è una città petrolifera abbandonata nel deserto della California. Con qualche forzatura quindi, si potrebbe definire cinema iraniano della diaspora. In più la ragazza che gira di notte per Bad City è una vampira, una novità nel panorama del cinema persiano. Il film però, presentato al Sundance nel 2013, non si può definire un horror, proprio come lo svedese Lasciami entrare. E tra i due film c’è qualche punto in comune, a partire dallo sguardo limpido delle due protagoniste, vampire loro malgrado. E poi come Hiroki Ryuichi, anche Ana Lily Amirpour sembra suggerire che si può uscire dalle tenebre, grazie all’amore. Evviva.

Un’ultima curiosità. Il film è tratto da una graphic novel, e lo splendido bianco e nero in cui è realizzato ricorda proprio quello di certi fumetti, compreso Persepolis di Marjane Satrapi. Da ieri Amirpour e Satrapi fanno parte degli eletti che possono votare per decidere chi vincerà l’Oscar. Un altro passo avanti fuori dalle tenebre.

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