31 marzo 2017 18:00

Il permesso, seconda regia di Claudio Amendola dopo La mossa del pinguino, è un film che una volta si sarebbe definito a episodi, scritto dallo stesso Amendola con Giancarlo De Cataldo. Quattro persone escono dal carcere di Civitavecchia per un permesso premio di 48 ore. Sono un ex pugile coinvolto in un giro di incontri clandestini (un Luca Argentero tiratissimo fisicamente e insolitamente taciturno), un ragazzetto di Roma dentro per una rapina a un benzinaio (Giacomo Ferrara), una ragazza di una famiglia agiata che sconta una condanna per traffico internazionale di stupefacenti (Valentina Bellè) e un criminale di lungo corso, in galera da oltre dieci anni per duplice omicidio (appunto Claudio Amendola).

Il film è cupo, non c’è epica in queste piccole storie criminali che per la loro essenzialità mi hanno fatto pensare a delle storie a fumetti o anche a certi film anni novanta (Ultrà, Vite strozzate), quando ancora non c’erano “miti” da romanzo criminale a far sembrare dorati gli anni di piombo. Aiuta la figura di Amendola nel ruolo di Luigi, un uomo grigio, goffo con gli smartphone, molto più a suo agio con delle pistole semiautomatiche. Un uomo d’altri tempi, insomma. Come già il suo personaggio in Suburra, Amendola fa sembrare triste e squallido il destino del criminale. Un lavoro complicato dopo le varie trasposizioni del famoso romanzo di De Cataldo che sembra tornare, pentito, sul luogo del delitto. Molto bella anche la dichiarazione di riconoscenza per il cinema come arte “corale” che Claudio Amendola ci ha regalato per Anatomia di una scena.

La stampa britannica non ha avuto parole particolarmente generose nei confronti di Il viaggio di Nick Hamm, la ricostruzione un po’ romanzata di come nacque l’accordo del venerdì santo, il patto tra cattolici nazionalisti e protestanti unionisti che mise la pietra tombale sulla guerra civile che per anni ha devastato l’Irlanda del Nord. E forse è vero che (pensando anche a tanti film realizzati sull’argomento, da classici come In nome del padre al recente ed eccellente ’71) il film di Hamm sembra ridurre tutto quello spargimento di sangue a un giochino politico tra vecchie volpi. Ma personalmente penso che per Il viaggio siano più i pregi che i difetti. Soprattutto perché racconta a chi non lo conosce un pezzo di storia recente del Regno Unito, tornato di attualità in questi giorni dopo la morte di Martin McGuinness, uno dei protagonisti di quella vicenda (interpretato da Colm Meany) insieme al reverendo Parsley (che invece è interpretato da Timothy Spall).

Nel film c’è anche un attore che interpreta Tony Blair e viene quasi da ridere a pensare a tutti quelli che si entusiasmavano per la terza via proposta dal premier laburista, prima che dilapidasse il suo patrimonio politico nell’assurda crociata di George W. Bush. Insomma le lezioni di storia servono sempre.

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In uscita anche Ghost in the shell con Scarlett Johansson, Classe Z di Guido Chiesa e La vendetta di un uomo tranquillo di cui ci ha parlato il regista Raúl Arévalo in Anatomia di una scena.

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