09 luglio 2018 12:19

Il mondo in cui viviamo potrebbe cambiare presto. Infatti Donald Trump, sempre di lui si tratta, ha due appuntamenti importanti e l’imprevedibilità che caratterizza il presidente degli Stati Uniti è tale che il mondo trattiene il fiato temendo il peggio.
Il primo appuntamento è il vertice della Nato, l’alleanza militare di cui gli Stati Uniti sono il leader incontestato. I vertici della Nato offrono raramente intensi momenti di grande drammaticità, soprattutto in tempi di pace relativa, ma questo potrebbe rivelarsi tempestoso.

Nel frattempo c’è stato il disastroso vertice del G7 il mese scorso in Canada, e l’11 e il 12 luglio, a Bruxelles, Trump ritroverà gli stessi volti. E nessuno sa come li tratterà questa volta, tanto più che ha l’intenzione di criticare chi – ed è la maggioranza – non rispetta gli impegni del 2014 ad aumentare le spese militari al 2 per cento del pil, a cominciare dalla Germania.

Gli insulti di Trump su Twitter nei confronti del primo ministro canadese Justin Trudeau e il suo disprezzo per la cancelliera Angela Merkel, di cui ha praticamente chiesto la destituzione all’ala destra della sua coalizione in un altro tweet rabbioso, non saranno facilmente dimenticati qui al vertice di Bruxelles. E anche se per ora Emmanuel Macron sfugge alla rabbia trumpiana, i tempi degli abbracci sono finiti.

Dall’inizio dell’anno Trump smantella le basi dell’attuale sistema di governo mondiale per farci entrare in un altro mondo

Il secondo appuntamento di Trump spaventa per ragioni molto diverse. Il presidente degli Stati Uniti incontrerà il suo collega russo Vladimir Putin a Helsinki il 16 luglio, il primo vero vertice tra i due uomini in un contesto di inchieste sulle ingerenze russe nella campagna elettorale americana e di grande incertezza sulla linea di Trump nei confronti della Russia di Putin.

Per qualche ora, dopo le sue ambigue dichiarazioni, gli europei hanno creduto che Trump avrebbe riconosciuto unilateralmente l’annessione della Crimea da parte della Russia. Una smentita però li ha rassicurati, soprattutto i paesi in “prima linea” come gli stati baltici e la Polonia. Ma sulla vera linea di Trump rimangono dubbi e il fatto che si sia creduto a questa eventualità dimostra l’assenza di fiducia tra “alleati”.
La ragione dell’inquietudine generalizzata alla vigilia di questi vertici è che tutti ormai hanno capito – dopo aver vanamente creduto che Trump sarebbe stato controllato dagli “adulti” del governo, in particolare i generali – che il presidente degli Stati Uniti impone la propria linea.

Dall’inizio dell’anno Trump smantella sistematicamente le basi dell’attuale sistema di governo mondiale per farci entrare in un altro mondo. Ha cominciato con l’eredità della diplomazia multilaterale di Barack Obama cancellando l’accordo di Parigi sul clima e l’accordo sul nucleare iraniano.

Ma Trump ha anche lasciato completamente l’Unesco, la Commissione dei diritti umani dell’Onu e adesso fa capire di volersi ritirare dall’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e ha istituito delle barriere doganali che potrebbero portare a una guerra commerciale con la Cina, seconda potenza economica mondiale, ma anche con i suoi alleati europei e con i suoi vicini messicano e canadese.

Aggiungiamo il trasferimento della sua ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme senza preoccuparsi delle risoluzione dell’Onu, dei palestinesi e del resto del mondo.
Conosciamo attraverso le fughe di notizie e le dichiarazioni pubbliche il disprezzo di Trump per l’Unione europea, che secondo lui è stata fondata per approfittare degli Stati Uniti – anche se è vero il contrario – nel contesto della guerra fredda degli anni cinquanta.

Non prova alcuna simpatia per la Nato, non solo per ragioni di bilancio ma anche perché rispetta solo la forza e gli europei, che si sono riparati dietro “l’ombrello” americano per 70 anni, non ne hanno mostrata. Nel 2017 era stato necessario insistere perché affermasse pubblicamente il suo sostegno all’articolo 5 del patto atlantico, che prevede l’intervento automatico degli stati membri se uno di essi fosse vittima di un’aggressione.

Nel caso della Nato e della Cina, mette in evidenza dei veri problemi ma non è animato dall’intenzione di risolverli

Non tutto quello che dice Trump è assurdo e ammetterlo non significa diventare “trumpiani”. La sua critica del non rispetto degli impegni finanziari dei membri della Nato è fondata, la maggior parte dei paesi europei si basa sugli Stati Uniti per la propria sicurezza. E anche la Francia, che vuole mantenere il suo rango militare, raggiungerà quel famoso 2 per cento solo alla fine del mandato di Macron, sempre se sarà in grado di rispettare i suoi impegni.

Allo stesso modo le sue critiche sulla politica commerciale cinese, sull’assenza di reciprocità negli accessi al mercato, sulle barriere non tariffarie e sugli investimenti sono denunciate da molti anni dalla camera di commercio europea e americana in Cina.

Ma in questi due casi Trump, anche se mette in evidenza dei veri problemi, non è animato dall’intenzione di risolverli. Il suo progetto è stabilire dei rapporti di forza tanto con i suoi alleati che non considera realmente come tali, come con i suoi rivali.
Trump detesta il multilateralismo che Macron ha difeso con insistenza alla tribuna delle Nazioni Unite l’anno scorso e al Congresso americano quest’anno, e gli preferisce il buon vecchio unilateralismo, fondato su rapporti di forza che la prima potenza economica e militare mondiale pensa di poter controllare.

Il trauma imprevisto
Nel mondo di Trump non ci sono più “trattati disuguali” conclusi alla fine di maratone diplomatiche in cui ciascuno deve fare delle concessioni. Il mondo sarà bilaterale, cioè in balia della volontà unilaterale degli Stati Uniti.
Il problema è che in questa distruzione sistematica del “mondo di ieri”, per riprendere il titolo dell’ultimo libro di Stefan Zweig che racconta l’ascesa del nazismo e la strada verso la seconda guerra mondiale, Trump non è l’unico a vedere il mondo in questo modo.

L’unilateralismo, il nazionalismo, il culto degli uomini forti a capo di stati forti, sono oggi dei valori in ascesa all’interno della democrazia “illiberale”. Trump ha paradossalmente più rispetto per Putin che tiene il suo paese con un pugno di ferro molto poco democratico, che per Angela Merkel, la figlia di un pastore protestante che dirige la prima economia europea rispettando i valori che ne ha ereditato.

L’Unione europea sa quindi di avere oggi sia a ovest sia a est degli “amici” che vogliono la sua morte. Si tratta di un trauma per gli europei, che nonostante gli eventi della storia – dal gollismo all’invasione dell’Iraq – hanno sempre visto in Washington una leadership, anche quando non era presente o era consigliata male.
Questo trauma è ancora più drammatico visto che l’Ue stessa vacilla, con al suo interno forze politiche nazionaliste di estrema destra o populiste che sono spinte dalle correnti più radicali per contestare il modello di integrazione europea seguito negli ultimi 70 anni. Segno dei tempi difficili, l’Austria, con un governo di coalizione di estrema destra, ha appena assunto la presidenza di turno dell’Unione.

Viviamo quindi in un momento di grande tensione e di incertezza, che raggiungerà il suo apice nei due appuntamenti di Bruxelles e di Helsinki.

Le sorti del mondo non si decidono in uno o due vertici, ma questi saranno comunque determinanti per sapere se Trump continuerà nel suo lavoro di distruzione sistematica del “mondo di ieri” e se dimostrerà con Putin il suo fascino per gli “uomini forti”; e se l’Europa avrà la capacità, l’energia, la coesione sufficiente e il coraggio di tenergli testa e di costruire finalmente la sua storia.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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