10 ottobre 2018 12:34

Qual è l’elemento in comune tra il voto dei brasiliani per l’estrema destra, l’omicidio dei giornalisti in Europa, l’arresto del capo dell’Interpol e di una stella del cinema in Cina e, ancora, il processo a carico della banca svizzera Ubs che si sta svolgendo a Parigi? La corruzione, flagello del mondo, il cui impatto è forse maggiore in campo politico che economico.

Il fenomeno non è né nuovo né circoscritto a un sistema politico o a un partito. Nessuno lo ha spiegato meglio di Machiavelli, nel sedicesimo secolo: “Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe in modo assoluto”. All’epoca si era lontani dalla globalizzazione, a cominciare da quella finanziaria, che non ha fatto altro che decuplicare le possibilità di arricchirsi illegalmente per chi dispone dei mezzi e delle capacità per farlo.

Da secoli, l’organizzazione delle nostre società è volta a smorzare la tendenza umana all’accumulo di ricchezze con ogni mezzo, introducendo sistemi d’allarme, controlli e meccanismi di sorveglianza e trasparenza. Abbiamo fatto progressi, ma non bastano mai. La corruzione zero non esiste da nessuna parte.

Nei periodi di crisi, la corruzione diventa insopportabile agli occhi delle persone a cui si richiedono sacrifici. Mina la fiducia nel sistema, nelle istituzioni, nei leader. Il caso del Brasile è esemplare. Il paese ha vissuto un periodo di crescita spettacolare durante il quale il denaro scorreva a fiumi.

La nausea dei cittadini premia il candidato della legge e dell’ordine

Ma l’euforia è finita e gli illeciti hanno cominciato a emergere, travolgendo sia la sinistra del presidente Lula, oggi in carcere, sia la destra tradizionale, eliminata dal primo turno delle presidenziali.

Gli elettori brasiliani che hanno premiato il candidato di estrema destra Jair Bolsonaro, che ha buone probabilità di essere eletto il 28 ottobre, giustificano solitamente la loro scelta con due preoccupazioni: la corruzione e l’insicurezza. La nausea dei cittadini premia dunque il candidato della legge e dell’ordine, pronto a far rinascere il mito dell’uomo forte .

Altre latitudini, altro sistema politico: in Cina, al momento di lasciare il potere, l’ex presidente Jiang Zemin aveva messo in guardia il suo partito: “Se non metteremo un freno alla corruzione, il Partito comunista perderà il potere”.

L’attuale presidente Xi Jinping ha fatto della lotta alla corruzione uno dei suoi marchi di fabbrica, senza però convincere appieno del fatto che le sue vittime non siano prese di mira solo perché esponenti di clan diversi dal suo. In ogni caso, i suoi ultimi bersagli sono spettacolari: il presidente cinese dell’Interpol, arrestato senza alcun riguardo, e la stella della tv Fan Bingbing, “scomparsa” per tre mesi prima di riaffiorare dopo aver pagato una multa salatissima e tessendo le lodi del Partito comunista.

Trasparency international, una ong specializzata nella lotta contro la corruzione, rivolge agli stati proposte istituzionali per ridurre il rischio di corruzione.

In gioco c’è l’intera società, dagli informatori ai giornalisti che indagano sulla corruzione. La morte di alcuni giornalisti che lavoravano su casi di corruzione negli ultimi mesi – a Malta, in Slovacchia e sabato scorso in Bulgaria, se l’assassinio della giornalista televisiva Viktoria Marinova è davvero legato al suo lavoro – è particolarmente inquietante.

Anziché gettarsi tra le braccia del potere autoritario che si preoccupa di applicare l’adagio di Machiavelli, dobbiamo trovare la soluzione nelle società aperte. Più trasparenza, più istituzioni forti, più stampa libera. Purtroppo i tempi non sembrano maturi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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