05 novembre 2019 12:01

A un anno dalle presidenziali statunitensi c’è un tema che spopola nel dibattito politico: i social network e la necessità di evitare il ripetersi delle manipolazioni che hanno segnato il voto del 2016. Il dibattito testimonia il ruolo assunto da Facebook e Twitter nel mondo dell’informazione e la difficoltà di introdurre regole accettabili e trasparenti per preservare l’integrità di un esercizio democratico.

Al centro di tutto c’è Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook finito sul banco degli imputati. Zuckerberg ha incassato una valanga di critiche per essersi rifiutato di cancellare dal social network gli spot politici ingannevoli, decisione che ha giustificato con la libertà di espressione. Nel mirino ci sono messaggi sponsorizzati che tentano di trasformare lo scandalo sull’Ucraina che ha colpito Donald Trump (e che potrebbe costare l’impeachment al presidente) in un “caso Joe Biden”, possibile avversario di Trump alle elezioni 2020.

Il 25 ottobre Zuckerberg ha passato un brutto quarto d’ora davanti alle domande incalzanti di Alexandria Ocasio-Cortez, parlamentare democratica di New York che ne ha evidenziato le contraddizioni. Il 31 ottobre Zuckerberg è stato attaccato da un’altra star, Aaron Sorkin, acclamato sceneggiatore della serie televisiva The west king ma soprattutto del film The social network, incentrato proprio sulla storia personale del fondatore di Facebook.

In una lettera aperta pubblicata dal New York Times, Sorkin rimprovera all’uomo di cui ha raccontato l’irresistibile ascesa di essere diventato un “nemico della verità” e di avallare menzogne che a suo parere corrodono l’essenza della democrazia e minacciano il futuro delle giovani generazioni.

Come se non bastasse, all’interno di Facebook circola una petizione firmata da trentamila dipendenti per opporsi alla scelta di Zuckerberg di non applicare le sue norme alle pubblicità politiche ingannevoli che obbligherebbero l’azienda a ritirarle.

Facebook è uno strumento molto potente che raccoglie informazioni dettagliate sui tutti i suoi utenti

Battendo il chiodo ancora caldo, il grande rivale di Facebook, Twitter, ha annunciato che rinuncerà a qualsiasi pubblicità politica. “Pensiamo che la diffusione di messaggi politici vada meritata, non acquistata”, ha dichiarato l’amministratore delegato Jack Dorsey, nel chiaro tentativo di prendere Facebook in contropiede.

Con oltre due miliardi di utenti nei cinque continenti, Facebook è uno strumento molto potente che raccoglie informazioni dettagliate sui tutti i suoi utenti. Questi dati permettono al social network di mirare i suoi annunci, un aspetto fondamentale per vendere divani, promuovere una causa o anche manipolare l’opinione pubblica.

È precisamente ciò che è accaduto nel 2016 con l’azienda Cambridge Analytica, legata all’estrema destra statunitense di Steve Bannon e capace di gestire milioni di dati personali via Facebook a vantaggio di Donald Trump. Lo scandalo che ne è seguito ha cambiato l’immagine del social network, da utile strumento di contatto tra amici ad arma di distruzione politica di massa.

Il fondatore di Facebook si difende in modo poco convincente, tanto più che appare convinto di essere un benefattore dell’umanità, come ha raccontato Julien Le Bot nel suo libro Nella testa di Mark Zuckerberg. Quest’idea, forse, lo rende ancora più pericoloso.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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