06 marzo 2020 12:30

È un fatto senza precedenti che avrà un impatto profondo. Il 5 marzo la Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja ha autorizzato l’apertura di un’indagine per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in Afghanistan dopo il 2003. L’inchiesta riguarda tutti gli eserciti presenti nel paese, compreso quello statunitense, accusato di tortura, abusi e stupri. Ed è qui che comincia il problema.

Come prevedibile, l’amministrazione Trump ha reagito violentemente: “È un atto incredibile da parte di un’istituzione politica senza alcun controllo che si traveste da organo giudiziario”, ha dichiarato con sdegno il segretario di stato Mike Pompeo.

Il conflitto tra la Cpi e il governo di Washington cova ormai da mesi, con la Casa Bianca che ha addirittura revocato il visto alla procuratrice del tribunale, Fatou Bensouda, nel tentativo di fare pressione su di lei.

Gli Stati Uniti non hanno aderito alla Cpi, creata nel 1998 dopo un lungo processo. A prescindere dal partito al potere nel paese, gli americani non hanno mai accettato che i loro soldati potessero rispondere delle loro azioni davanti a un tribunale straniero. L’amministrazione Trump accompagna a questa sfiducia tipicamente statunitense un rifiuto netto di tutte le istanze sovranazionali.

Quello di poter contare su un’istituzione internazionale incaricata di giudicare i reati più gravi è un sogno antico

Questa contraddizione è al centro del parto doloroso della giustizia internazionale, avvenuto negli anni novanta. Quello di poter contare su un’istituzione mondiale incaricata di giudicare i reati più gravi – come i genocidi, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità – è un sogno antico.

Il processo di Norimberga, dopo la sconfitta nazista, e quello di Tokyo, dopo la resa del Giappone, avevano affermato la giustizia dei vincitori. L’idea di fondo della Cpi era quella di fare un passo ulteriore, con una giurisdizione permanente. La fine della guerra fredda ha permesso una breve schiarita, con la nascita della Cpi il 17 luglio 1998.

Ma questo successo poggiava su debolezze intrinseche e mai superate. Soltanto 123 stati sui 193 che fanno parte delle Nazioni Unite riconoscono l’autorità della Cpi. Tra gli assenti figurano potenze di primo piano come Stati Uniti, Cina e Russia, ma anche Israele e la Siria. Inoltre i meccanismi di consultazione del tribunale si affidano prevalentemente alla volontà degli stati, soprattutto attraverso il Consiglio di sicurezza e il suo diritto di veto da parte delle grandi potenze.

Se gli Stati Uniti si sentono presi di mira sull’Afghanistan, con gli abusi commessi durante la guerra contro il terrorismo, i russi non sono da meno con la loro offensiva militare in Siria. In questo momento, a Idlib, l’aviazione russa sta bombardando scuole e ospedali commettendo palesemente crimini di guerra.

Le grandi potenze hanno un interesse comune a tenere a distanza la Cpi, limitandone il raggio d’azione ai signori della guerra africani che non hanno un grande peso diplomatico.

Questo contesto rende ancora più coraggiosa la decisione presa giovedì dal tribunale, che sta cercando di tenere in vita il sogno di una giustizia indipendente dalla ragion di stato e si oppone alle tendenze attuali. E che per questo è chiaramente necessaria.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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