30 settembre 2020 09:49

Una guerra può nasconderne un’altra. I combattimenti tra l’Armenia e l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabakh, in corso ormai da tre giorni, ricordano una situazione già vissuta più volte dopo la guerra del 1994, a tre anni dal crollo dell’Unione Sovietica di cui facevano parte entrambi i paesi.

In passato, a ogni scoppio della violenza, è sempre stata Mosca a riportare l’ordine o comunque a spingere per calmare le acque. Ma questa volta c’è una grande differenza, con l’ombra di un altro attore regionale: la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan.

Fin dal primo giorno del conflitto, domenica 27 settembre, Ankara ha sostenuto con tutto il suo peso le rivendicazioni dell’Azerbaigian, laddove il resto del mondo ha lanciato appelli al dialogo.

In questo momento si parla addirittura di un reclutamento di combattenti islamisti da parte della Turchia per rafforzare il campo azero. Le notizie non sono confermate, ma dicono molto di quale sia l’immagine della Turchia odierna e del suo attivismo politico-militare nella vecchia sfera di influenza ottomana. Questo slancio, però, rischia di portare Ankara in rotta di collisione con la Russia.

Niente di ciò che accade nell’ex mondo sovietico lascia indifferente Mosca, soprattutto in questa regione del Caucaso meridionale dove si mescolano interessi legati alla sicurezza e agli idrocarburi.

Dietro il conflitto azero-armeno si nasconde l’ambiguità del rapporto russo-turco

La Russia mantiene un’alleanza militare con l’Armenia, dove esiste una base russa, ma al contempo vende armi all’Azerbaigian e ha sempre cercato di mantenere un equilibrio nei suoi rapporti con i due paesi rivali. Sostenendo con forza l’Azerbaigian, la Turchia potrebbe cambiare gli equilibri e costringere la Russia a farsi coinvolgere più di quanto non vorrebbe.

Dietro il conflitto azero-armeno si nasconde l’ambiguità del rapporto russo-turco, che emerge in diverse aree del mondo. I due ex imperi, infatti, si trovano sul campo anche in Siria e Libia. Il Caucaso del sud diventa dunque il terzo “fronte” di questo rapporto complesso che si basa soprattutto sulle relazioni personali tra i due autocrati, Erdoğan e Vladimir Putin.

Amici o rivali? Un po’ l’uno e un po’ l’altro, chiaramente, ma sempre attenti a non diventare nemici. La difficoltà del rapporto tra Russia e Turchia è evidente in Siria, nell’enclave di Idlib, dove i due eserciti effettuano pattugliamenti comuni ma dove i due paesi hanno interessi divergenti. Lo stesso vale per la Libia, dove Ankara sostiene il governo di Tripoli mentre Mosca pende dalla parte del maresciallo Haftar, capo militare dell’est.

In passato abbiamo creduto che la Turchia, membro della Nato, fosse tentata da un riavvicinamento con la Russia. L’acquisto da parte di Ankara del sistema antimissile russo S-400 aveva addirittura provocato una crisi con gli Stati Uniti.

Ma Erdoğan non vuole affatto “passare” nel campo russo. Vuole che la Turchia sia considerata una potenza a sé stante, emancipata da un occidente che non la attira più. Il Caucaso è solo l’ultimo teatro di questa strategia, con il rischio, in questo caso, di provocare un po’ troppo la potenza russa.

La soluzione o il proseguimento del conflitto nel Nagorno Karabakh dipenderà più da Putin ed Erdoğan che da Erevan e Baku.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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