15 ottobre 2020 11:00

Il capo della diplomazia russa Sergej Lavrov ha portato il suo affondo prima ancora che fossero noti i dettagli delle sanzioni europee. “Se l’Europa non rispetta la Russia, Mosca metterà fine al dialogo”.

A scatenare la collera della Russia è la lista delle sanzioni che i 27 hanno approvato dopo il tentativo di avvelenamento dell’oppositore russo Alexej Navalnyj con il Novichok, prodotto chimico che porta la firma dello stato russo. Le sanzioni colpiscono sei personalità della cerchia ristretta di Vladimir Putin, al Cremlino o nei servizi segreti. Queste persone non potranno più viaggiare in Europa e i loro averi saranno congelati.

Le sanzioni sono state adottate in tempi da record dopo la conferma che la sostanza utilizzata era effettivamente il Novichok, come hanno dimostrato laboratori in Germania, Francia, Svezia e presso l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.

Un gesto politico
Queste misure hanno una portata limitata, ma si tratta soprattutto di un gesto politico, e come tale è stato ricevuto da Mosca.

La decisione anticipa l’atteggiamento strategico che l’Ue ha intenzione di adottare. Se ne parla ormai da tempo, così come di lunga data sono le contraddizioni dell’Europa. Il mondo non è lo stesso visto da Vilnius, Atene o Parigi, e finora questa geografia politica era sembrata insormontabile.

La doppia sfida turca e russa permetterà agli europei di trovare posizioni comuni

Invece i paesi europei si sono mossi all’unisono per affrontare due potenze ambiziose che operano oltre il confine, la Russia e la Turchia, entrambe guidate da un “uomo forte” che non rispetta le regole del gioco.

Questa doppia sfida permetterà agli europei di trovare posizioni comuni, perché quelli che rimproveravano alla Francia di essere tropo dura con la Turchia, per fare un esempio, erano gli stessi che l’accusavano di essere troppo morbida con la Russia. Oggi i 27 riescono faticosamente a parlare con una sola voce sulla vicenda Navalnyj, sulla Bielorussia o sulla Turchia, impegnata in continue provocazioni nel mar Egeo.

Siamo ancora lontani da una politica estera comune, un obiettivo che appare irraggiungibile. Ma i 27 stanno comunque forgiando una cultura del lavoro comune e del compromesso su temi che fino a poco tempo fa erano dominati dagli interessi nazionali.

Ci sono i temi caldi come la vicenda Navalnyj, per cui bisognava trovare un’intesa tra Germania e Francia prima di creare un’accordo tra tutti i 27. Questa intesa è stata trovata abbastanza facilmente.

Poi ci sono gli argomenti più ampi come il rapporto tra l’Europa e la Cina, in cima all’agenda comune. In questo caso parte dell’Europa aveva già ceduto alle sirene di Pechino, mentre la Germania aveva forti interessi in quanto grande paese esportatore. Per questo motivo la concorrenza ha inizialmente prevalso su tutto. Ma l’atteggiamento della Cina ha aiutato gli europei a capire che bisognava discutere da blocco a blocco, perché con Pechino è sempre una questione di rapporti di forza.

Per arrivare a tutto questo sono stati necessari un mondo sempre più brutale e un’amministrazione Trump che ha deciso di voltare le spalle agli alleati. È ancora un primo sussulto, ma basta ad alimentare l’ottimismo di chi ha vissuto le contraddizioni e gli ostacoli del passato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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