Il covid-19 non fa male solo alla salute, ma anche alla democrazia. Il rapporto annuale del settore ricerca del settimanale britannico The Economist, ha fugato ogni dubbio con dati precisi.
La Francia è passata da “democrazia a pieno titolo” a “democrazia vacillante”. È bastato perdere qualche punto per cambiare categoria e assestare un colpo al prestigio nazionale di un paese che troppo spesso si offre come modello al resto del mondo.
Come siamo arrivati a questo punto? Prima di tutto chiariamo il metodo. La classifica annuale della democrazia mondiale comprende 165 paesi divisi in quattro categorie: le democrazie a pieno titolo, con la Norvegia in testa; le democrazie vacillanti, dove la Francia coabita con molti altri paesi europei come il Belgio o l’Italia ma anche con gli Stati Uniti; i regimi ibridi e infine i regimi autoritari.
Per stilare la classifica sono stati adottati cinque criteri: il processo elettorale e il pluralismo, le libertà civiche, il funzionamento del governo e infine la partecipazione e la cultura politica. La lista del 2020, evidentemente, risente dell’effetto del covid-19.
Le colpe oltre il virus
Quello appena trascorso è infatti l’anno peggiore per la democrazia da quando il centro di ricerca ha cominciato a stilare la sua classifica, quindici anni fa. Il rapporto attribuisce il peggioramento alle limitazioni alla libertà causate dalla pandemia, ma non solo. La Francia oscilla da diversi anni tra le due categorie, democrazia a pieno titolo e democrazia vacillante. Questo dimostra che le colpe non sono tutte del virus.
Potremmo discutere all’infinto sul fatto che i coprifuochi, i confinamenti, la chiusura delle frontiere e tutte le altre restrizioni imposte per lottare contro il virus rappresentino o meno un attacco alle libertà. Tecnicamente lo sono senza alcun dubbio, e influiscono sulla classifica. Al contempo, almeno nelle democrazie, queste misure sono state decise dai parlamenti e sono state accettate da cittadini rassegnati ma largamente consenzienti.
La situazione attuale mostra fino a che punto la democrazia sia un bene fragile
In altri paesi, invece, le restrizioni si sono spinte oltre e si accompagnano a censura e arresti (come quelli dei blogger cinesi che avevano lanciato l’allarme all’inizio della pandemia) e in generale a una vita democratica meno intensa, di cui sono un esempio le elezioni municipali in Francia.
Le conclusioni sono di due ordini: prima di tutto i cittadini, una volta superata la pandemia, dovranno dare prova di vigilanza per ritrovare tutti i loro diritti e le loro libertà. Che ciò accada non è scontato ovunque.
Ma soprattutto la situazione attuale mostra fino a che punto la democrazia sia un bene fragile, come ha confermato il periodo post-elettorale negli Stati Uniti. Oggi molti paesi hanno fatto un passo indietro, e la categoria delle “democrazie a pieno titolo” rappresenta appena l’8,4 per cento della popolazione mondiale. È un dato inquietante.
Tanto di cappello, nel frattempo, al paese che ha operato il più grande avanzamento nella classifica del 2020 e ha fatto il suo ingresso tra le democrazie a pieno titolo. È un paese che ha gestito perfettamente la pandemia anche se è riconosciuto solo da una manciata di stati. Si tratta di Taiwan, l’isola rivendicata dalla Cina. Dall’Asia arriva una storia incoraggiante: si può rafforzare la propria democrazia anche vivendo sotto minaccia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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