23 settembre 2021 10:15

È uno dei grandi paradossi della nostra epoca: la Cina fa paura quando è troppo potente e mostra i muscoli, ma preoccupa altrettanto quando è troppo fragile, come dimostra la vicenda Evergrande.

L’Evergrande è il secondo gruppo immobiliare cinese, un gigante in un paese che si urbanizza a un ritmo senza precedenti. Nelle ultime settimane l’azienda privata si è rivelata incapace di affrontare una montagna di debiti, mostrando tutti i segnali di un default dei pagamenti.

A quel punto il panico si è impossessato dei mercati finanziari mondiali, con lo spettro di una Lehman Brothers cinese, un riferimento al fallimento della banca statunitense che aveva scatenato la crisi finanziaria del 2008. Il 22 settembre tutto si è risolto quando l’Evergrande ha annunciato di poter saldare una prima parte del suo debito, in scadenza in giornata. La vicenda merita attenzione, perché è ricca di spunti.

Lezioni di storia contemporanea
Per prima cosa ci insegna che una delle grandi differenze tra la guerra fredda con l’Unione Sovietica e quella che prende forma con la Cina è la globalizzazione economica e finanziaria. All’epoca dell’Urss sarebbe stato impensabile che un’azienda sovietica facesse crollare le borse occidentali. Oggi, invece, i banchieri statunitensi sono preoccupati per la salute di un gruppo immobiliare cinese, anche se nel frattempo Washington tenta in ogni modo di arginare la potenza di Pechino.

La seconda lezione, ancora più importante, è che il Partito comunista cinese non può permettersi che si verifichi un caso “Lehman Brothers” nel paese. Le dimensioni dell’Evergrande e il suo impatto su milioni di piccoli azionisti e proprietari di immobili che potrebbero essere danneggiati da un fallimento del gruppo rendono questa evenienza politicamente impossibile.

Xi Jinping punta a un terzo mandato e non è il momento di rischiare un’esplosione sociale

Nell’economia ibrida della Cina, dove un potente capitalismo di stato ha lasciato sviluppare un settore privato importante ma comunque sottomesso all’autorità di Pechino, è sempre la politica a decidere. Il partito può permettersi di tagliare le ali a Jack Ma, il miliardario di internet, così come può scegliere di salvare Evergrande dal fallimento, punendone nel frattempo i dirigenti.

La settimana scorsa gli investitori cinesi in collera hanno organizzato manifestazioni di protesta davanti alla sede dell’Evergrande a Shenzhen, nel sud della Cina. In questo paese controllatissimo sono i guai di un’azienda capitalista a portare in piazza le persone.

E questa è precisamente l’ultima cosa che vorrebbero vedere i leader cinesi, a un anno dal congresso del Partito comunista che dovrà decidere su una trasgressione alle regole. Il numero uno cinese Xi Jinping ha infatti cancellato il limite dei due mandati imposto da Deng Xiaoping dopo gli eccessi del maoismo, e il ventesimo congresso dovrebbe affidargli il terzo incarico quinquennale. Insomma non è il momento di rischiare un’esplosione sociale.

Ecco perché i comunisti cinesi hanno salvato il capitalismo, restituendo il sorriso agli investitori di tutto il mondo. Un paradosso, proprio nel momento in cui la regione indopacifica si militarizza e si divide, come conferma la vicenda dei sottomarini australiani.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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