26 ottobre 2021 10:02

Il Sudan rappresentava uno degli ultimi tentativi di democratizzazione ancora in corso nel mondo arabo, ma il 25 ottobre alcuni militari hanno messo fine all’esperimento con un colpo di stato contro il governo di transizione nato dopo la rivoluzione del 2019, che aveva rovesciato la dittatura di Omar al Bashir. I militari golpisti si sono scontrati con l’iniziale resistenza della popolazione. Alcune persone hanno perso la vita durante gli scontri.

La transizione era estremamente fragile. L’obiettivo finale era l’organizzazione di nuove elezioni, ma negli ultimi mesi pochi osservatori avrebbero scommesso sulla possibilità di arrivarci senza intoppi. Il processo si basava su un delicato compromesso tra la società civile e i generali del vecchio regime. Il primo ministro del governo di transizione, Abdallah Hamdok, parlava di “alleanza paradossale” tra civili e militari, tra rivoluzionari e vecchi carnefici.

Il paradosso ha smesso di esistere il 25 ottobre: il capo del governo, un economista che in passato ha lavorato per le Nazioni Unite, è stato arrestato e condotto in un luogo sconosciuto con l’accusa di essersi rifiutato di collaborare. Altri dirigenti civili sono stati arrestati. L’accesso a internet è stato bloccato. Radio e televisioni diffondono soltanto programmi musicali. Gli uomini armati al servizio dei golpisti perlustrano la capitale.

Il leader della giunta che ha annunciato in uniforme la dissoluzione del governo di transizione è il generale Abdel Fattah al Burhan, che rappresentava il fronte militare nell’alleanza con i civili. Ex capo dell’esercito, Al Burhan è salito alla ribalta dopo la caduta di Al Bashir nell’aprile del 2019, quando gli furono attribuite funzioni equivalenti a quelle del capo dello stato.

I militari sono ormai soli al comando dopo essersi sbarazzati del pungolo della società civile, e a questo punto sono nelle condizioni di salvare l’importante settore industriale legato all’esercito di cui i civili volevano privarli. Questa dimensione economica ha un peso non indifferente.

L’esercito cerca inoltre l’impunità per i crimini del passato. Il numero due dell’apparato militare, Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, comandava una forza paramilitare accusata di massacri, anche a Khartoum durante la rivoluzione del 2019. Al termine della transizione avrebbe probabilmente dovuto affrontare una magistratura meno compiacente.

Ma i sudanesi sono un popolo combattivo, come hanno dimostrato in diverse fasi delle loro storia, e la loro società civile è ben strutturata. Il problema è che i militari sembrano assolutamente determinati, e un periodo prolungato di confusione appare inevitabile.

Anche se era nell’aria, il colpo di stato ha preso il resto del mondo di sorpresa. Un rappresentante degli Stati Uniti si trovava nel paese alla vigilia del golpe per tentare di calmare le acque. Un commissario europeo era in volo per Khartoum quando si è svolto il colpo di stato.

La battuta d’arresto alla transizione completa va considerata come il fallimento di una doppia ondata di movimenti anti autoritari nel mondo arabo: la prima nel 2011, nel solco della rivoluzione tunisina, e la seconda dopo il 2018 in paesi come Libano, Algeria e Sudan.

Questo ciclo è arrivato alla fine quest’estate in Tunisia con il colpo di mano del presidente Kais Saied. Oggi termina anche in Sudan. Le controrivoluzioni stanno vincendo. Ma non sarà la fine dell’aspirazione delle nuove generazioni del mondo arabo verso società più libere.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Leggi anche:

Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Africa. Ci si iscrive qui.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it