Questa settimana due ministri degli esteri rivali sono in giro per l’Europa: uno viene da Pechino, l’altro da Taipei. È una situazione inedita che mostra fino che punto la vicenda di Taiwan sia diventata ovunque un tema diplomatico di primo piano.

Il ministro cinese Wang Yi ha visitato Atene, dove la Cina ha acquistato il porto del Pireo, e poi Belgrado, capitale di un paese chiave nel progetto di investimenti cinese e dove il governo serbo vanta “un’amicizia di ferro” con la Cina. Yi rappresenterà il numero uno cinese Xi Jinping al vertice del G20 in programma a Roma nel fine settimana.

Meno consueta è la visita del capo della diplomazia taiwanese Joseph Wu in Repubblica Ceca e Slovacchia, prima di una presenza descritta come “non ufficiale” a Bruxelles. Il viaggio di Wu fa parte dell’offensiva taiwanese per “esistere” sulla scena internazionale malgrado la mancanza di un riconoscimento. Al contempo una delegazione economica taiwanese si trova in Lituania.

Questa frenesia non è un caso. Taiwan, infatti, è al centro della nuova guerra fredda sino-americana.

Pechino ha fatto sforzi considerevoli per impedire o quantomeno frenare un allineamento dell’Europa sulle posizioni statunitensi in merito alla Cina. Il 26 ottobre Xi Jinping ha comunicato telefonicamente a Emmanuel Macron che vorrebbe favorire il percorso europeo verso l’autonomia strategica (rispetto agli Stati Uniti, sottinteso).

Taiwan, dal canto suo, vuole rispondere ai tentativi cinesi di emarginare l’isola da qualsiasi rapporto internazionale. Ogni contatto, anche minimo, è una buona notizia, come per esempio la recente visita dei senatori francesi a Taipei, dove sono stati ricevuti dal presidente Tsai Ing-wen scatenando le ire di Pechino.

Di fatto l’Europa è divisa tra un gruppo di paesi amici di Pechino e destinatari degli investimenti della nuova via della seta, un altro gruppo che critica duramente la Cina e il suo regime e infine un terzo gruppo di paesi, come la Francia o la Germania, che cerca una “terza via”, né allineata sulle posizioni di Washington né troppo compiacente nei confronti di Pechino. Quest’ultima opzione è sempre più difficile da seguire.

Sul tema di Taiwan assistiamo a una progressiva radicalizzazione delle posizioni. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato pubblicamente che il suo paese difenderebbe Taiwan in caso di aggressione cinese, mentre la presidente di Taiwan ha confermato alla Cnn la presenza di soldati statunitensi sull’isola per addestrare le truppe locali, e si è detta fiduciosa a proposito dell’indispensabile sostegno da parte di Washington.

La scomparsa dell’ambiguità strategica di Washington e l’attivismo diplomatico di Taiwan hanno l’effetto di un drappo rosso sventolato davanti agli occhi della Cina. Xi ha dichiarato che la conquista di Taiwan è un obiettivo che non può essere rinviato “di generazione in generazione”.

Per questo motivo Pechino minaccia chiunque osi spingersi troppo lontano, come la piccola Lituania che ha subìto gli strali della potente Cina per aver sviluppato un legame con Taiwan. Questo è solo l’inizio. Lo scontro esistenziale rischia seriamente di scuotere i rapporti internazionali nei prossimi anni.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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