21 febbraio 2022 10:03

Vladimir Putin resta padrone del gioco pericoloso che ha innescato tre mesi fa con l’obiettivo di cambiare i rapporti di forze in Europa: un giorno spinge il continente sull’orlo della guerra, il giorno successivo ammorbidisce i toni e dichiara di voler dare una possibilità alla diplomazia, non escludendo, a sorpresa, di incontrare il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.

Questa contraddizione permanente fa parte integrante dell’approccio conflittuale scelto dal presidente russo, che gioca tanto sui nervi dei suoi avversari quanto sul loro rifiuto della guerra.

La grande forza di Putin è di aver attuato il più massiccio dispiegamento militare degli ultimi trent’anni mentre i suoi interlocutori non hanno idea fin dove sia disposto a spingersi. Invasione totale dell’Ucraina, guerra limitata nel Donbass o un passo indietro se riuscirà a ottenere vantaggi politici? Lui è l’unico a conoscere la risposta, e a decidere.

In questo gioco tutti i mezzi sono concessi: l’intimidazione militare, la disinformazione, la spettacolarizzazione di uno scontro annunciato ma che non si realizza. Fino a due giorni fa tutto sembrava procedere verso la guerra. La Russia e le due repubbliche separatiste del Donbass avevano moltiplicato le accuse che avrebbero potuto fungere da pretesto per un’offensiva: uno pseudo genocidio, bombardamenti attribuiti all’esercito ucraino e perfino la popolazione civile delle zone separatiste costretta a rifugiarsi in Russia. Il fronte sembrava incendiarsi inesorabilmente.

E invece il 20 febbraio il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato al telefono con Putin due volte, così come con Joe Biden: hanno accettato entrambi il principio di organizzare un vertice, potenzialmente allargato a tutti i protagonisti della vicenda, in primis dunque l’Ucraina.

Putin ha fissato l’asticella molto in alto nelle sue pretese di sicurezza rispetto all’Ucraina, all’Europa e alla Nato

Il 21 febbraio un gruppo di lavoro tenterà di salvare il fragile cessate il fuoco nel Donbass, poi i capi della diplomazia russa e statunitense si incontreranno in Europa per preparare il vertice. La minaccia dunque è teoricamente in pausa.

Possiamo dire che l’eventualità di una guerra sia scongiurata? Niente è meno sicuro, perché Putin ha fissato l’asticella molto in alto nelle sue pretese di sicurezza rispetto all’Ucraina, all’Europa e alla Nato, e non allenterà davvero la pressione fino a quando non avrà ottenuto qualcosa di tangibile. Da questa considerazione nasce un altro interrogativo: qual è il prezzo che l’Ucraina e gli occidentali sono pronti a pagare per evitare una guerra?

A complicare la faccenda ci sono i fantasmi della storia. Nel 1938 a Monaco (dove nel fine settimana si è svolta la riunione sulla sicurezza) il premier britannico e quello francese, Neville Chamberlain ed Édouard Daladier, praticarono la cosiddetta pacificazione (appeasement) nei confronti della Germania nazista: oggi esiste una scuola di pensiero che grida alla pacificazione a proposito di qualsiasi ipotetica concessione a Putin. I paralleli storici hanno i loro limiti, ma sono inevitabili.

Per Macron, che resta in prima linea, come per gli altri occidentali è difficile capire fino a che punto spingersi sul campo delle concessioni senza indebolire la sicurezza dell’Ucraina. Nessuno può rimproverargli questo tentativo di evitare una guerra, ma il prezzo da pagare non può essere una capitolazione davanti alla minaccia della forza. La via è stretta, ma quantomeno, finora, ha permesso di evitare il peggio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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