03 ottobre 2022 10:21

Dopo quattro mesi di occupazione russa, la bandiera ucraina sventola di nuovo nel centro della città di Lyman. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj lo ha confermato il 2 ottobre, insieme a una serie di video in cui si vedono soldati ucraini che posano orgogliosamente con la loro bandiera oltre ad alcuni prigionieri russi e molto materiale distrutto o recuperato. Sono scene già viste a Izjum e altrove, lungo la rotta della controffensiva che avanza da un mese nel nordest dell’Ucraina.

La differenza, stavolta, è che Lyman fa parte dei territori di cui Vladimir Putin ha annunciato l’annessione il 30 settembre. Questo significa che prima ancora della ratifica della decisione da parte del parlamento russo, prevista per il 3 ottobre, l’annessione è stata smentita dai fatti. Il portavoce del Cremlino non ha saputo definire con precisione le frontiere della zona annessa, che sarebbero le nuove frontiere della Federazione Russa. Questo, inevitabilmente, ha creato disordine.

Il fronte continua a muoversi, sia a nord, dove le truppe che hanno conquistato Lyman continuano ad attaccare un esercito russo in ritirata caotica, sia a sud, nella regione di Cherson, dove l’avanzata è più lenta, ma comunque efficace.

Sostegno ribadito
Putin, di certo, non si faceva illusioni. L’Ucraina non avrebbe mai potuto accettare né i referendum organizzati la settimana scorsa né la decisione dell’annessione, soprattutto considerando che l’esercito ucraino ha in mano l’iniziativa.

Ma dal punto di vista russo l’offensiva ucraina (e attraverso Kiev quella dei paesi della Nato) si svolge ormai in territorio russo, anche se nessun altro paese ha riconosciuto l’annessione. Putin ha così ventilato l’ipotesi di dichiarare che sulla Russia incombe “una minaccia esistenziale”, aprendo la strada a un crescendo ancora più intenso, sulla carta anche nucleare.

Siamo nello scenario di una fuga in avanti, anticipato dalla mobilitazione parziale

Di sicuro Putin poteva prevedere che il suo discorso e le sue minacce non avrebbero intimidito l’occidente a questo punto del conflitto. Piuttosto è accaduto il contrario: la Francia ha appena annunciato la consegna di altri sei cannoni Caesar all’Ucraina, e in generale gli occidentali hanno ribadito il proprio sostegno a Kiev.

Siamo chiaramente nello scenario di una fuga in avanti, anticipato il 21 settembre dalla proclamazione di Putin di una mobilitazione parziale e poi dal discorso incendiario pronunciato dal presidente russo il 30 settembre davanti a migliaia di persone inviate sul posto con il compito di applaudirlo.

Come accade dall’inizio di questa crisi, Putin ha ottenuto l’opposto di ciò che desiderava. Nove stati della Nato, tutti ex paesi comunisti, hanno appoggiato la richiesta dell’Ucraina di entrare immediatamente a far parte dell’Alleanza atlantica. Poco importa se l’adesione è impossibile per un paese in guerra: la mobilitazione dei governi del “fianco est” dell’Europa, compresi quelli degli stati baltici e della Polonia, innesca una dinamica che rende impossibile qualsiasi passo indietro.

Dato che sta perdendo la battaglia militare sul campo, Putin cerca di rifarsi con la guerra di nervi, nella speranza che la paura del nucleare o dei prezzi dell’energia incontrollabili possa spingere l’opinione pubblica occidentale ad abbandonare l’Ucraina. Cosa farebbe il presidente russo se anche questo piano dovesse fallire? È la domanda a cui nessuno sa rispondere, né in occidente né tantomeno in Russia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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