07 dicembre 2022 10:22

Il 6 dicembre Joe Biden si trovava in Arizona per assistere all’avvio dei lavori per la costruzione di una nuova fabbrica. Niente di più banale, se non fosse che si tratta di una fabbrica di semiconduttori, i componenti tecnologici più strategici del nostro tempo, e che l’investitore è un’azienda privata taiwanese, la Taiwan semiconductor manufacturing company (Tsmc).

Questi due elementi ne fanno un evento decisivo nel contesto economico, tecnologico e geopolitico. L’occasione merita senz’altro la presenza del presidente degli Stati Uniti. Si tratta della seconda fabbrica che la Tsmc costruisce in Arizona. La prima, che comincerà la produzione l’anno prossimo, è stata realizzata per volontà di Donald Trump: un segno della continuità tra le amministrazioni su alcuni temi, come appunto la battaglia tecnologica con la Cina.

In totale la Tsmc spenderà 40 miliardi di dollari in Arizona, una cifra considerevole. È l’equivalente del piano presentato dalla Commissione europea per tutto il continente, ma investito da un’unica azienda privata.

Semimonopolio del silicio
L’azienda è il gigante taiwanese e mondiale dei semiconduttori, componenti che troviamo un po’ dappertutto, dai telefoni alle vetture agli aspirapolvere, ma anche nei droni e nei missili della guerra moderna.

La Tsmc è la meno nota ma anche la più strategica delle grandi aziende tecnologiche del mondo. Produce il 55 per cento dei semiconduttori al livello mondiale e il 90 per cento di quelli di alta gamma. Gli altri sono prodotti dalla coreana Samsung.

L’arrivo dell’azienda taiwanese in questo angolo dell’Arizona è tutto fuorché un caso, e solleva diversi interrogativi

È questo semimonopolio sui conduttori più sofisticati, che contengono miliardi di circuiti elettrici stampati su una base di silicio dello spessore di un capello, che rende la Tsmc un’azienda estremamente ambita. Il fatto che la sua sede sia a Taiwan, isola rivendicata da Pechino, aggiunge una dimensione geopolitica che non sfugge a nessuno.

Ecco perché l’arrivo dell’azienda taiwanese in questo angolo dell’Arizona è tutto fuorché un caso, e solleva diversi interrogativi.

Perché la Tsmc investe negli Stati Uniti? La decisione è la conseguenza di una doppia dinamica. Da un lato gli Stati Uniti, come l’Europa e il Giappone, cercano di ridurre la dipendenza dalle importazioni di semiconduttori dall’Asia e si sono lanciati in una corsa folle agli investimenti. Gli europei vogliono portare la quota di produzione del continente dal 10 al 20 per cento del totale mondiale entro dieci anni.

L’altra dimensione è il confronto sempre più acceso con Pechino. Washington ha imposto alla Cina restrizioni severe sui semiconduttori, settore in cui i cinesi accusano un ritardo importante. Rafforzando il legame con la Tsmc, gli statunitensi mostrano di fatto che non abbandoneranno Taiwan.

Ma a Taipei qualcuno si preoccupa di vedere il proprio fiore all’occhiello salpare verso gli Stati Uniti, e la Tsmc ha dovuto offrire rassicurazioni in materia. L’impresa mantiene a Taiwan la produzione di alta gamma, ovvero i semiconduttori di 1 o 2 nanometri (l’unità di misura di questi prodotti). Il primo impianto statunitense produrrà l’anno prossimo semiconduttori da 5 nanometri. Se 500 ingegneri si trasferiscono in Arizona, altri 50mila restano sull’isola, dove il 6 dicembre la Tsmc ha annunciato la costruzione di una nuova fabbrica di semiconduttori da 1 nanometro, il sacro graal del settore.

Washington non vuole che le conoscenze della Tsmc finiscano in mano a Pechino, e questa, per Taiwan, è una sorta di assicurazione sulla vita.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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