I tradimenti non sono più quelli di una volta.Vi ricordate quando, meno di un mese fa, Vladimir Putin aveva parlato in tv di “pugnalata alle spalle”? In quei giorni immaginavamo già l’eliminazione del colpevole, Evgenji Prigožin, con il novichok, lo stesso veleno che ha provocato la morte dell’ex spia russa Sergej Skrjpal. C’era anche chi consigliava a Prigožin di far assaggiare il suo tè a qualcun altro prima di berlo.

E invece il capo del gruppo Wagner, andato in esilio in Bielorussia dopo il fallimento della sua marcia su Mosca, è già tornato in Russia, dove è stato avvistato a San Pietroburgo e addirittura nella capitale. La stampa russa riferisce che Prigožin avrebbe recuperato il denaro contante e i lingotti d’oro che erano stati scoperti all’interno di un furgone. Il dittatore bielorusso Lukašenko, intanto, ha garantito che Putin è una brava persona e non ucciderà Prigožin.

La vicenda appare sempre più stravagante – una pagliacciata nel contesto ben più drammatico della guerra in Ucraina – e probabilmente non ha ancora finito di rivelare i suoi segreti sui giochi di potere a Mosca.

Ipotesi multiformi
Tutte queste peripezie sono piuttosto misteriose. Com’è possibile che uno stato forte decida di tollerare la ribellione di un gruppo di mercenari? Se già l’epilogo della partenza in Bielorussia sembrava sorprendente, il repentino ritorno di Prigožin in Russia, con totale libertà di movimento, è ancora più inatteso.

Parte della spiegazione va ricercata nei legami strettissimi e di vecchia data tra il capo della Wagner e quello del Cremlino. Putin in persona ha riconosciuto pubblicamente che questi rapporti erano reali e remunerati, smentendo la favola secondo cui la milizia Wagner sarebbe un’organizzazione indipendente dallo stato russo e dal suo presidente. Ricordiamo che questa menzogna era stata pronunciata sfacciatamente di fronte a Emmanuel Macron, in visita a Mosca.

Il gruppo Wagner sta per essere nazionalizzato? Questa era l’ipotesi prevalente dopo la rivolta del 10 giugno

È evidente che Putin abbia rinunciato a punire Prigožin per la sua insubordinazione, autorizzandolo a circolare liberamente per occuparsi dei suoi affari che tra l’altro sono piuttosto complessi, in un groviglio di operazioni militari, manovre di disinformazione e interessi economici in Africa.
Il gruppo Wagner sta per essere nazionalizzato? Questa era l’ipotesi prevalente dopo la rivolta del 10 giugno, quando Putin aveva concesso agli uomini del gruppo la scelta tra entrare nell’esercito, andare in esilio in Bielorussia o tornare a casa. Secondo la Nato, che segue la situazione da vicino, sono in pochi a essere arrivati in Bielorussia.

La vicenda fa luce sulla natura del sistema Putin, più simile a un meccanismo mafioso che a uno stato moderno. Solo così si spiega la tolleranza nei confronti dei metodi brutali del ceceno Ramzan Kadyrov o dell’ambizione di Prigožin che se ne va libero nonostante le sue iniziative.

L’unica cosa che conta, evidentemente, è la fedeltà nei confronti del capo. In questo senso Prigožin, pur avendo lanciato la sua sfida, non sembra aver passato il limite. Questo è probabilmente il motivo del riguardo di cui gode. Tutto il contrario rispetto al trattamento riservato a Aleksej Navalnyj o a Vladimir Kara-Murza, rivali politici di Putin che marciscono in prigione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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