Il 13 dicembre il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha riconosciuto che per eliminare Hamas, obiettivo della campagna militare dello stato ebraico nella Striscia di Gaza, serviranno ancora “diversi mesi”.

Le parole di Gallant sono chiaramente politiche. D’altronde sono state pronunciate davanti a Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, arrivato in Israele per discutere la tempistica della fine della guerra. Il governo di Benjamin Netanyahu non vuole sentire parlare di uno stop ai combattimenti prima di aver vinto la sua guerra contro Hamas, anche se non ha chiarito in cosa consisterebbe questa vittoria.

Quella di Gallant è la prima ammissione politica ad alto livello del fatto che la sconfitta di Hamas è ancora lontana, e questo nonostante la violenza inaudita dei bombardamenti e la morte di ventimila persone, secondo le fonti palestinesi. A questo punto viene da chiedersi se l’obiettivo di eliminare Hamas sia realizzabile, e a quale prezzo.

La fabbrica della morte
Un’inchiesta rivela che l’esercito israeliano ignora le precauzioni a tutela dei civili e affida la scelta dei suoi obiettivi all’intelligenza artificiale. Ecco perché gli attacchi sulla Striscia di Gaza stanno facendo un numero di vittime senza precedenti

La risposta arriva in parte da un sondaggio condotto da un istituto palestinese nei territori occupati. L’indagine, realizzata durante la tregua di novembre, indica che in Cisgiordania il sostegno dei palestinesi nei confronti di Hamas è cresciuto, raggiungendo il 48 per cento. E che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è aumentato anche a Gaza, passando dal 38 al 42 per cento.

L’affidabilità di un sondaggio condotto in un contesto di guerra e terrore è evidentemente limitata, ma dai risultati emerge comunque una tendenza chiara. Invece di spingere la popolazione dei territori occupati a condannarlo, l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre, con le sue atrocità e il rapimento degli ostaggi, ne suscita l’approvazione, anche se più in Cisgiordania che a Gaza. Evidentemente la lettura dei fatti non è la stessa tra chi emette un giudizio morale e chi si trova sotto le bombe o esposto alle violenze dei coloni.

Quali sono le conseguenze di questa situazione? La prima è che l’obiettivo di eliminare Hamas solo attraverso l’operazione militare è un’illusione, come conferma il sondaggio. Non si può sconfiggere un movimento politico, militare e religioso solo a colpi di bombe. Ciò che Hamas perde dal punto di vista militare, infatti, lo guadagna sul piano politico.

La seconda conseguenza è che uno dei temi più difficili del dopoguerra sarà quello della rappresentanza politica dei palestinesi. Nel sondaggio l’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen appare totalmente screditata.

Nei giorni scorsi Abou Marzouk, uno dei leader di Hamas in esilio a Doha, in Qatar, ha dichiarato che il momento potrebbe entrare a far parte dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), in passato guidata da Yasser Arafat. L’Olp oggi riconosce l’esistenza di Israele.

Per il momento, però, si tratta di uno scenario ipotetico e soprattutto molto lontano dalla realtà sul campo a Gaza, descritta da un giornalista della Cnn che ha potuto visitare la zona di guerra come “sconvolgente, straziante, allarmante” e un “orrore assoluto”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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