Era un’elezione la cui posta in gioco andava oltre il quadro politico della piccola Romania. Donald Trump aveva cercato di influenzare il voto, come anche il primo ministro ungherese Viktor Orbán. L’Europa, dal canto suo, aspettava il risultato del secondo turno delle presidenziali romene con il fiato sospeso.

Alla fine la vittoria del candidato liberale e filoeuropeo Nicușor Dan, capace di battere quello dell’estrema destra che aveva stravinto al primo turno, George Simion, somiglia molto a un miracolo politico. Il risultato sarà sicuramente contestato dallo sconfitto, nel pieno rispetto di un modus operandi ispirato alla rivolta di Trump del 2020. Le accuse di brogli hanno già cominciato a circolare la sera del 18 maggio. La Romania rischia di vivere un periodo molto agitato, ma resta il fatto che ha evitato un’avventura politica estremamente pericolosa.

Il sussulto degli elettori romeni ha impedito che il paese finisse nelle mani di un’estrema destra violenta, antieuropea e antiucraina, facendo il gioco della Russia di Putin e di Trump.

Sulla carta questo risultato sembrava del tutto improbabile. Sicuramente ci sono diverse lezioni da trarre.

Prima di tutto dobbiamo tenere presente che si è trattato di un’elezione fuori dalla norma. Tanto per cominciare, cinque mesi fa il primo turno era stato annullato dopo aver sancito la vittoria di un candidato di estrema destra totalmente sconosciuto, Călin Georgescu, che aveva approfittato di una campagna su TikTok influenzata da Mosca. L’annullamento del voto è stato un atto senza precedenti nella storia politica dell’Unione europea, condannato dal vicepresidente statunitense JD Vance nel suo famoso discorso di Monaco.

Simion, altro candidato di estrema destra, aveva raccolto il testimone promettendo di nominare Georgescu primo ministro. Due settimane fa aveva ottenuto il 41 per cento dei voti, una percentuale che lo rendeva quasi certo della vittoria al secondo turno, considerando il vantaggio sugli avversari.

A cambiare tutto è stata la mobilitazione degli elettori. Il 18 maggio l’affluenza alta, soprattutto tra i romeni all’estero, ha premiato Dan, 55 anni, matematico laureato in Francia, liberale e sindaco di Bucarest.

Dopo la fine della dittatura di Nicolae Ceaușescu, 36 anni fa, la Romania ha vissuto una storia politica sfortunata, tra governi corrotti, un declino demografico provocato dalla partenza di milioni di giovani verso l’Europa occidentale in cerca di lavoro e un sistema d’informazione esposto a qualsiasi manipolazione. Un’autostrada per il populismo e il nazionalismo, insomma.

Come succede ovunque a est, anche in Romania un fossato separa le grandi città, rivolte verso l’Europa, dai piccoli centri abitati e dalle campagne, più conservatrici e spesso in crisi. A questo si aggiunge la presenza di una chiesa ortodossa sensibile alle sirene antioccidentali di Mosca.

La vittoria in extremis di un candidato credibile sulla lotta alla corruzione e l’impegno europeo non deve far pensare che la democrazia liberale sia fuori pericolo. La polarizzazione estrema non è certo un segno di buona salute. Oggi la democrazia ha chiaramente bisogno di un intenso lavoro di introspezione, se non vogliamo che ogni elezione in Europa sia piena di pericoli.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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