13 luglio 2015 12:58

È inutile usare mezzi termini: Alexis Tsipras ha perso su tutta la linea. In cambio dell’accordo che permetterà di riaprire le banche e ridare ossigeno alla popolazione greca, e che potrebbe (ma non è detto) consentire alla Grecia di restare nella zona euro, il premier greco ha dovuto accettare tutte le richieste finali dei creditori, e rinunciare in pratica a tutte le “linee rosse” considerate invalicabili per il suo governo e per il suo partito, Syriza.

Ci saranno tagli alle pensioni, aumenterà l’iva sui generi di prima necessità, non sarà possibile varare il salario minimo, non si potrà ripristinare la contrattazione collettiva, si dovranno forzatamente introdurre i licenziamenti collettivi. Non solo non sono state accettate nemmeno le ultime due, quasi patetiche, richieste di Tsipras (evitare un nuovo coinvolgimento del Fondo monetario internazionale, evitare di consegnare come garanzia e “ostaggio” ai creditori i beni privatizzabili). A dimostrazione della totale disfatta del tentativo di “ribellione” di Syriza, il parlamento e il governo greco dovranno persino fare marcia indietro sulle minuscole, piccolissime misure che erano state votate in segno di sfida. Forse dovrà essere nuovamente chiusa la tv pubblica, o dovranno essere licenziate le famose donne delle pulizie del ministero dell’economia.

Questa disfatta totale implica che probabilmente si concluderà qui il primo tentativo di un governo di sinistra e anti-austerità in Europa. È probabile che nel giro di pochi giorni Tsipras sarà costretto a varare un governo di unità nazionale, coinvolgendo i partiti moderati di opposizione. Quasi certamente Syriza si frantumerà in due spezzoni, nei pochi giorni in cui il Parlamento sarà obbligato a votare le sei riforme necessarie per avviare il negoziato (un altro, e tutt’altro che scontato) per il nuovo programma di aiuti. Non è escluso che – come più volte apertamente richiesto da diversi politici europei – Tsipras debba passare la mano e la guida del governo a un tecnocrate. Lui cercherà di resistere e di introdurre nelle misure da votare punti accettabili per il partito. Vedremo. È anche possibile che siano convocate nuove elezioni.

Quel che è certo è che – come del resto più volte era stato affermato sia da Tsipras sia dai suoi collaboratori – non esisteva alcun “piano B”. I greci non hanno mai nemmeno per un istante preso in considerazione seriamente l’ipotesi di uscire dall’euro. E una volta che i creditori hanno “visto” il bluff di Tsipras, Syriza ha perso immediatamente ogni potere contrattuale e si è ridotta a chiedere alla Francia di intervenire per consentire almeno di arrivare all’accordo di stamattina.

Certamente alcune delle riforme che la Grecia sarà costretta ad approvare sono misure positive e necessarie. Certamente i greci apprezzeranno la riapertura delle banche, con tutto quel che ne consegue. Certamente i nuovi sacrifici imposti avranno un effetto recessivo. È da vedere quanti dei 35 miliardi di aiuti europei per investimenti infrastrutturali arriveranno, e se avranno effetto. È possibile che in autunno una Grecia completamente piegata possa ricevere, come suggerito, un parzialissimo alleggerimento del debito.

Difficile immaginare una ripresa economica nel breve o nel medio periodo: molti economisti sono convinti che la Grecia resterà a “marcire” nell’Eurozona, senza sviluppo, senza ripresa, senza occupazione.

Il piano del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha funzionato: dopo la punizione collettiva inflitta alla Grecia tutti i ribelli, effettivi o potenziali, i recalcitranti e gli oppositori (prima tra tutti la Francia) hanno perfettamente capito che chi si oppone alla Germania sarà spazzato via. L’Europa generosa e solidale che tanti hanno sognato ha subìto un colpo forse mortale. Dopo quanto è accaduto nulla sarà più come prima.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it