20 gennaio 2011 00:00

Negli ultimi dieci anni i salari cinesi sono cresciuti in media del 12 per cento all’anno, un tasso molto superiore a quello dei paesi occidentali. L’autoritarismo di Pechino non è servito a comprimere artificialmente i salari dei lavoratori, ma piuttosto a imporre un sistema con una bassa protezione sociale.

Se da un lato questa trasformazione ha permesso un incredibile aumento della produttività, e quindi dei redditi e della ricchezza, dall’altro ha anche aumentato l’incertezza per le famiglie cinesi, che non dispongono di un adeguato sistema di welfare e di tutela dei disoccupati o di chi non è più in condizione di lavorare.

Come osservano Andrea Boitani e Rony Hamaui su lavoce.info, questa è una ragione plausibile per spiegare la crescita della propensione al risparmio delle famiglie cinesi, che da molti è considerata un problema per gli equilibri economici globali.

Gli americani continuano a chiedere una forte rivalutazione dello yuan per rendere le merci cinesi meno competitive sui mercati internazionali. Ma la soluzione migliore potrebbe essere quella di costruire un sistema di protezione sociale, come quello realizzato in Europa negli anni cinquanta e sessanta.

Sarà possibile in Cina? L’articolo 1 della sua costituzione sembra una catena di ossimori: “La Repubblica popolare cinese è uno stato socialista soggetto alla dittatura democratica del popolo”.

Internazionale, numero 881, 21 gennaio 2011

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