15 novembre 2007 00:00

Nel 1994 ho attraversato gli Stati Uniti (da ovest a est e ritorno) in una Cadillac del 1959. L’auto non aveva dei veri e propri freni e consumava molto, ma aveva un bagagliaio così grande che ci potevi entrare dentro per spostare le valige. Inoltre c’era un accendino per ognuno dei sei sedili.

Mio figlio adolescente era un appassionato di sport americani, e così siamo andati a vedere una partita di basket dell’Nba all’andata (Phoenix) e una partita di baseball al ritorno (Chicago).

Ma abbiamo visitato anche i templi del rock and roll. Se un posto faceva parte della storia della musica americana, noi ci andavamo. Attraversando il Texas abbiamo visitato la tomba di Buddy Holly a Lubbock (scoprendo che il suo vero nome era Holley) e il Cadillac Ranch alle porte di Amarillo. Nel 1997 le dieci Cadillac, piantate nel terreno con la stessa angolazione della piramide di Cheope, sono state spostate.

Bruce Springsteen ha scritto una canzone sul Cadillac Ranch e nella copertina dell’album On the beach di Neil Young c’è una Cadillac sepolta nella sabbia. A Memphis – oltre al ranch di Elvis Presley, Graceland, che non è così grande e di cattivo gusto come speravo – abbiamo visto i Sun Studios, dove Elvis e molti altri cantanti rock dell’epoca hanno registrato i loro dischi.

A Detroit, dov’è nata la nostra Cadillac, ci siamo fermati alla Motown, poi siamo andati a Woodstock, che in realtà non ospitò il famoso festival (anche se da allora la città ha saputo sfruttare il suo nome).

Nel 1969 gli abitanti della pacifica Woodstock rifiutarono infatti di ospitare tre giorni di pace e di amore. Il festival, in realtà, si svolse a Bethel, a ottanta chilometri di distanza.

Internazionale, numero 719, 16 novembre 2007

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it