07 ottobre 2010 00:00

Ogni tanto appaiono articoli di grande apprezzamento per le charter school degli Stati Uniti e per più sporadiche iniziative simili in Canada, Cile, Europa.

Nella newsletter del 21 settembre torna sull’argomento anche l’Associazione docenti italiani. Dal 1991 molti states hanno dato in appalto a gestori non statali, in genere non profit e talora pubblici, le scuole dette charter. Queste, dicono, sono “libere dalla burocrazia”, da vincoli e procedure che gli stati impongono alle scuole statali. E sono finanziate un tanto per alunno in misura di ciò che mediamente costa un alunno nel distretto o nello stato. Il resto a tutta prima pare il regno della libertà. Ma non è proprio così.

Le diverse leggi dei singoli stati prevedono alcuni vincoli comuni. La chart, la concessione, dura tre o cinque anni e si rinnova sotto condizione. Commissioni indipendenti verificano se la scuola ha rispettato il progetto educativo (laico e non discriminatorio) presentato per avere la concessione.

In particolare occorre che il profitto degli allievi rispetti gli standard minimi degli allievi delle scuole statali. Altrimenti le charter school chiudono. Il numero di allievi accoglibili secondo il progetto è rigidamente rispettato. Se le domande eccedono si sorteggiano i richiedenti da ammettere.

Così le charter school sono rare, raccolgono piccole percentuali di alunni (tranne a New Orleans dopo l’uragano Katrina) e tendono a concentrarsi meritoriamente in quei suburbi dove le scuole dello stato sono in difficoltà.

Internazionale, numero 867, 8 ottobre 2010

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