12 aprile 2012 00:00

Salima Saa, presidente dell’Agence nationale pour la cohé­sion sociale et l’égalité de chances (Acsé) in Francia, a marzo ha consegnato un rapporto “sull’apertura sociale nell’insegnamento superiore”. L’égalité, sottolinea, è un pilastro ideale della repubblica. Ma i figli di operai e impiegati sono 45 su cento uscendo dalle elementari, solo 36 arrivano al bac (il diploma di maturità), solo 13 entrano nel canale universitario privilegiato delle grandes écoles. Qui i figli di dirigenti e professionisti, 19 su cento all’anagrafe, sono invece il 54 per cento.

Come risultava già dal secondo volume dell’indagine Pisa del 2009, “Overcoming social background”, realizzare una scuola inclusiva è difficile dove, come in Cile, Italia, Polonia, gli alunni svantaggiati sono più di 20 ogni cento. La Francia ha condizioni migliori ma, a differenza di altri paesi (Finlandia, Canada), riesce solo in parte a offrire pari chances educative a tutti gli alunni nel loro intero percorso. Le condizioni di partenza pesano e la scuola divarica invece di accorciare le distanze.

Per migliorare le cose non basta migliorare singoli provvedimenti già in atto. Secondo Saa, commissioni giudicatrici di soli accademici legati a un’idea libresca di cultura continueranno a cercare di produrre cloni, sacrificando energie culturali creative. Bisogna cambiare l’idea di ciò che è una cultura. Pierre Bayle, l’Encyclopédie, Kant lo dissero già secoli fa, con moderati risultati. Accademici e intellettuali di oggi leggeranno il rapporto?

Internazionale, numero 944, 13 aprile 2012

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