02 settembre 2010 00:00

Nel suo ristorante privato, Humberto serve di nascosto aragoste, gamberi e carne di manzo. Questi prodotti sono tenuti sotto stretto controllo dalla legge cubana. Il loro possesso – senza un’autorizzazione regolare – può costare vari anni di prigione.

Le ricette non compaiono nel menù, ma quando arriva un cliente dall’aspetto affidabile Humberto gli sussurra all’orecchio le prelibatezze proibite che lo attendono in cucina, lontano dalla vista degli ispettori.

Nel 1994 Cuba ha autorizzato il lavoro autonomo e il paese si è riempito di ristoranti che cucinavano bistecche di maiale o pizze napoletane. L’offensiva rivoluzionaria della fine degli anni sessanta aveva soffocato la creatività, ma la camicia di forza si stava allentando. Tra la sorpresa e l’entusiasmo, gli abitanti dell’Avana hanno visto la città riempirsi di chioschetti e case trasformate in ristoranti, ribattezzati paladares.

Ma l’euforia è durata poco a causa delle tasse, delle restrizioni per assumere dipendenti che non appartengono alla cerchia familiare e della lista dei prodotti proibiti. Molti paladares hanno chiuso i battenti.

Ad agosto Raúl Castro ha annunciato che ci saranno degli incentivi per il lavoro autonomo. Humberto ha tirato un sospiro di sollievo, perché stava pensando di riconsegnare la licenza e prendere un taxi illegale. Forse non sarà obbligato a far sposare sua figlia con il cuoco per farlo lavorare con lui. E forse potrà offrire liberamente le merci nascoste nella sua cucina.

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