24 febbraio 2011 00:00

A volte è la morte di una persona a garantirle un posto nella storia. È il caso di Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante tunisino che si è dato fuoco davanti a un edificio del governo perché la polizia gli aveva confiscato la frutta. Le conseguenze della sua immolazione erano del tutto imprevedibili.

A Cuba un muratore è riuscito a risvegliare qualcosa che credevamo definitivamente sequestrato dalla polizia politica: la certezza che la realtà dovrà cominciare a cambiare. Il nome di Orlando Zapata Tamayo è salito agli onori delle cronache per la prima volta nel 2002 in un libro intitolato Los disidentes, che voleva screditare i rappresentanti dell’opposizione cubana. Ma dopo la sua morte – in seguito a uno sciopero della fame di ottantacinque giorni – Raúl Castro ha affermato che quel mulatto di 42 anni era un delinquente comune. Questa versione è stata ripetuta dimenticando che le stesse autorità lo avevano inserito nella lista dei “nemici politici”.

La morte di Orlando Zapata, avvenuta il 23 febbraio del 2010 alla vigilia del secondo anno di presidenza di Raúl, ha creato una scomoda ricorrenza sul nostro calendario. Proprio quando cade il primo anniversario della sua morte, gli agenti della sicurezza di stato si preparano a impedire che amici e colleghi vadano al cimitero dov’è sepolto. Ma non possono impedire che questa settimana il nome di Zapata Tamayo sia evocato più del lungo epiteto del generale presidente.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 886, 25 febbraio 2011*

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