15 settembre 2011 00:00

Ogni utopia ha la sua colonna sonora. A Cuba il movimento della Nueva trova ha creato una melodia per molti dei suoi momenti più importanti, soprattutto attraverso la voce di Silvio Rodríguez e Pablo Milanés.

Entrambi erano considerati i massimi esponenti della canzone rivoluzionaria dentro e fuori dall’isola. Le loro canzoni hanno accompagnato diverse generazioni di cubani durante il lavoro volontario, le scuole rurali, le guerre di Etiopia e Angola. Ma il tempo è passato e gran parte di quell’epica cantata a colpi di chitarra è andata perduta.

Qualche settimana fa Pablo Milanés ha criticato la mancanza di libertà a Cuba, ha detto di non essere più fidelista e di essere disposto a dedicare un concerto alle Damas de blanco, ma non al comandante in capo. Lo ha dichiarato a Miami, poco prima di un concerto a cui hanno assistito soprattutto gli esuli cubani. Pablito ha dato voce al disagio di molti rivoluzionari che hanno visto snaturarsi l’ideale per cui avevano lottato.

Silvio Rodríguez, invece, rimane vicino alle autorità dell’isola e ha criticato le parole del suo compagno di musica. Ma neanche la sua diatriba contro Pablo Milanés ha attutito l’impatto che hanno avuto tra noi le parole dell’autore di Yolanda. Nessuno dei due ha messo in musica quello che sta succedendo, ma entrambi stanno interpretando la sinfonia finale di un’illusione.

Suonano il requiem di un’epoca, in cui prendevamo la zappa o il fucile al ritmo delle loro canzoni.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 915, 16 settembre 2011*

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