10 aprile 2019 16:07

Il 4 aprile, il generale libico Khalifa Haftar ha annunciato con un messaggio vocale diffuso online una campagna militare per conquistare la capitale, Tripoli. Il suo ufficio stampa ha quindi pubblicato un video che mostrava decine di veicoli corazzati con gli emblemi dell’Esercito nazionale libico (Enl) di Haftar diretti verso la capitale libica. Tripoli sarebbe caduta in 48 ore, sostenevano le sue forze armate.

Il governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Sarraj, con sede a Tripoli e appoggiato dalle Nazioni Unite, è sembrato colto di sorpresa. Ha cercato di mobilitare le varie milizie per difendere la capitale e alla fine ha lanciato dei raid aerei contro le forze di Haftar.

Nonostante la gravità della situazione e il rischio di un’altra sanguinosa escalation nel conflitto libico, ormai in corso da anni, la risposta della comunità internazionale è stata piuttosto debole. Il Regno Unito ha convocato una riunione del Consiglio di sicurezza di emergenza che ha portato a una dichiarazione con cui si chiede ad Haftar di “fermare tutte le avanzate militari”, dopo che Russia e Francia hanno chiesto di esercitare una pressione minima sull’Eln. Nel frattempo gli Stati Uniti hanno ritirato alcune truppe di stanza in Libia.

Mentre il governo di Tripoli annuncia una controffensiva, la situazione nel paese rimane tesa. Con rapporti contrastanti provenienti da entrambe le parti, in quella che sembra essere una massiccia battaglia di disinformazione, è molto difficile giudicare ciò che sta realmente accadendo sul terreno.

A questo punto, ciò che è chiaro è che Haftar ha ricevuto un sufficiente sostegno internazionale per proseguire con la sua operazione.

Perché Hafter ha attaccato ora?
Un’operazione dell’Eln per conquistare Tripoli è sempre stata solo una questione di tempo. Dopo essersi assicurato nel 2017 il pieno controllo di Bengasi, nella Libia orientale, nell’ultimo anno Haftar ha continuato a espandere i territori sotto il suo controllo, parallelamente ha avviato dei colloqui con il governo di Al Sarraj sponsorizzati da vari esponenti internazionali.

A gennaio, le sue forze hanno lanciato un’operazione per prendere il controllo dei grandi giacimenti petroliferi nel sud del paese e alla fine del mese sono riuscite a entrare a Sabha, la più grande città della Libia meridionale. Avendo il controllo, almeno nominalmente, su oltre i due terzi della Libia, Haftar ha rivolto lo sguardo sulla Tripolitania (Libia occidentale) e sulla capitale Tripoli.

In vista di una conferenza nazionale guidata dalle Nazioni Unite, prevista per metà aprile, Haftar si è affrettato a massimizzare i suoi guadagni territoriali e quindi la sua influenza sui suoi avversari a Tripoli. Allo stesso tempo, le manifestazioni in corso in Algeria gli hanno dato la rara opportunità di lanciare un’operazione militare.

Preoccupata che il conflitto libico si riversasse nel suo territorio, la leadership algerina aveva sempre insistito per una soluzione politica in Libia, ospitando numerosi incontri tra le diverse forze libiche. Per Algeri, il governo di Tripoli e le forze islamiste in Libia devono essere incluse in ogni accordo per garantire la stabilità del paese. Algeri ritiene le manovre di Haftar pericolose e potenzialmente destabilizzanti e, nel suo status di egemone nordafricano, vede i suoi alleati arabi – Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita – come nemici geopolitici.

Considerata l’influenza politica e militare dell’Algeria nella regione, Haftar aveva evitato di spostarsi vicino ai confini algerini e fino a pochi mesi fa aveva mantenuto aperti i canali di comunicazione con la leadership algerina. La purga operata nell’apparato di sicurezza e militare dell’Algeria a metà del 2018 e poi la rivolta scoppiata nel febbraio 2019 contro il governo di Abdelaziz Bouteflika hanno dato a Haftar un’opportunità unica per lanciare la sua campagna militare espansionistica senza molte reazioni da parte di Algeri.

Probabilmente Haftar ha ricevuto il via libera dai suoi sostenitori internazionali. Non è un segreto che l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, la Giordania e sempre più la Russia e la Francia, abbiano fornito all’Eln sostegno militare e politico.

Alla fine di marzo, Haftar è andato a Riyadh per incontrare il re saudita Salman, grosso modo in coincidenza con una visita in Egitto del principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed, che ha incontrato il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. È abbastanza improbabile che gli alleati più vicini di Haftar non siano stati informati dell’operazione pianificata.

Molti paesi oltre gli Emirati Arabi, l’Egitto e l’Arabia Saudita considerano Haftar la soluzione per la Libia

La timida risposta della comunità internazionale alla sua offensiva su Tripoli – lanciata mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres visitava la capitale libica – dimostra che molti paesi oltre gli Emirati Arabi, l’Egitto e l’Arabia Saudita considerano Haftar la soluzione per la Libia.

Haftar spera anche di capitalizzare il crescente malcontento tra la popolazione civile nella Libia occidentale. La situazione all’interno di Tripoli – come in altre città libiche – si sta progressivamente deteriorando. La criminalità, l’insicurezza e la corruzione sono aumentate, mentre le condizioni di vita sono notevolmente peggiorate, l’economia locale arranca e la fornitura di servizi sociali e sanitari è al collasso.

La capitale è divisa tra diverse milizie e anche il governo è debole e corrotto. Mentre la nostalgia per l’era di Gheddafi si diffonde, Haftar ha cercato di presentarsi come un militare forte che potrebbe unire il paese e riportare stabilità e ordine. Questa immagine di sedicente salvatore della Libia è stata promossa da una massiccia macchina di propaganda ampiamente sostenuta dagli Emirati Arabi Uniti.

Cosa succede dopo?
La situazione sul campo sta cambiando rapidamente ed è piuttosto imprevedibile, ma a questo punto ci sono almeno tre scenari possibili per la Libia.

L’offensiva di Tripoli potrebbe diventare un conflitto protratto nel tempo, simile a quello di Bengasi che è durato tre anni. Ciò richiederebbe un pesante tributo alla popolazione e alle infrastrutture del paese e rovinerebbe le speranze di Haftar di entrare nella capitale da atteso e popolare salvatore.

Come seconda possibilità, una rapida vittoria non è fuori discussione e dipenderà molto dalla capacità di Haftar di convincere abbastanza milizie a unirsi alle sue forze per aiutarlo a prendere il controllo di Tripoli evitando una sanguinosa lotta. Il generale sta già conducendo negoziati con un certo numero di leader delle milizie, una strategia che nel sud della Libia lo ha aiutato a ottenere rapide conquiste territoriali.

Un accordo con i gruppi armati, però, comporterebbe il dover tutelare i loro interessi militari ed economici. Quindi l’illegalità che attualmente affligge l’occidente libico persisterebbe. E se nel futuro Haftar decidesse di reprimere le milizie – come ha promesso – potrebbe affrontare una rivolta.

Come terza ipotesi, si potrebbe anche verificare un ritiro o un consolidamento del nuovo status quo, nel quale le forze dell’Eln mettono rapidamente fine alla loro offensiva, conservando però posizioni strategiche al fine di mantenere la pressione su Tripoli. Questa ipotesi potrebbe essere seguita da un altro giro di negoziati, con o senza l’Onu, in cui Haftar avrebbe il sopravvento.

Qualunque scenario si realizzi nelle prossime settimane, una cosa è certa: la Libia continuerà a essere un epicentro della crisi in Nordafrica e una delle principali fonti di preoccupazione oltre i suoi confini.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Al Jazeera.

Leggi anche

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it