25 giugno 2019 15:59

Le autorità irachene avvieranno una serie di controversie internazionali nei confronti degli stati che hanno partecipato o contribuito al furto e al traffico di reperti archeologici trafugati in Iraq dal 2003 in poi.

Jasem al Hamidawi, della commissione cultura e turismo del parlamento iracheno, ha dichiarato ai giornalisti: “Anche se è troppo tardi, la campagna è pur sempre necessaria e partirà a settembre, sedici anni dopo il 2003”.

Al Hamidawi ammette che le autorità irachene ancora oggi non hanno informazioni sui tragici numeri e sulle caratteristiche dei beni rubati dai musei iracheni nel 2003, e su quanti ne siano stati restituiti. Con più di 17mila siti archeologici in tutto l’Iraq senza controlli, ci sono reti criminali ancora attive nel furto e nel contrabbando di resti archeologici iracheni in connessione con reti di traffici internazionali, una delle quali è basata in Israele.

Avvertimento a vuoto
Nel maggio 2018 l’agenzia federale statunitense per le frontiere e l’immigrazione ha finalmente restituito all’ambasciata irachena a Washington 3.800 di questi preziosi reperti, tra cui tavolette con iscrizioni cuneiformi e sigilli cilindrici in argilla, che dovrebbero tornare al museo di Baghdad.

“I saccheggi e uno sviluppo caotico sono le minacce più grandi per i reperti archeologici” del paese, aveva avvertito Lamia al Gailani, archeologa irachena e ricercatrice della School of oriental and african studies di Londra, morta nel gennaio 2019.

Ne è un drammatico esempio Mosul, dove più di un terzo del sito dell’antica città assira di Ninive è stato ricoperto di case. “L’archeologia non è mai una priorità, per qualunque governo”, aveva concluso Al Gailani.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it