Il 6 settembre l’esercito israeliano si è ritirato dalla città di Jenin dopo aver condotto una vasta “operazione antiterrorismo” nella Cisgiordania occupata, mentre sta portando avanti la sua offensiva nella Striscia di Gaza dopo quasi undici mesi di guerra con il gruppo palestinese Hamas.

Dopo il 7 ottobre le tensioni sono esplose anche in Cisgiordania, territorio palestinese occupato da Israele dal 1967. Il 28 agosto l’esercito israeliano ha lanciato una vasta operazione nella parte nord del territorio, dove sono attivi alcuni gruppi armati.

L’operazione, che ha preso di mira Jenin e dintorni, è stata accompagnata da grandi distruzioni, come hanno riferito alcuni testimoni e giornalisti dell’Afp.

Secondo gli abitanti, i soldati israeliani si sono ritirati da Jenin e dal suo campo profughi nella notte tra il 5 e il 6 settembre.

“Quattordici terroristi sono stati eliminati e più di trenta sono stati arrestati”, ha affermato il 6 settembre l’esercito israeliano, senza confermare la fine dell’operazione.

L’esercito ha inoltre confermato che uno dei suoi soldati è stato ucciso a Jenin il 31 agosto.

Secondo il ministero della salute dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), dal 28 agosto l’esercito israeliano ha ucciso trentasei palestinesi di età compresa tra i 13 e gli 82 anni.

Uccisa un’attivista statunitense

Nel pomeriggio del 6 settembre il direttore dell’ospedale Rafidia a Nablus, nel nord della Cisgiordania, ha annunciato la morte di un’attivista statunitense filopalestinese di 26 anni, arrivata in ospedale con una ferita di arma da fuoco alla testa.

Secondo l’agenzia palestinese Wafa, la donna – coinvolta in una campagna di solidarietà internazionale chiamata Fazaa, impegnata a proteggere gli agricoltori palestinesi dalle violenze dei coloni – è stata uccisa dai soldati israeliani.

Intanto, il 5 settembre gli Stati Uniti hanno invitato Israele e Hamas a finalizzare un accordo per una tregua nella Striscia di Gaza, mentre le parti si sono attribuite reciprocamente la responsabilità per lo stallo nei negoziati.

Khalil al Haya, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha affermato che se Washington volesse davvero un cessate il fuoco “non continuerebbe a sostenere l’occupazione sionista ed eserciterebbe una reale pressione su Netanyahu”.

Da quando il 1 settembre l’esercito israeliano ha annunciato il ritrovamento dei corpi di sei ostaggi nella Striscia di Gaza, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è sottoposto a forti pressioni per arrivare a un accordo con Hamas.

Ma al momento il premier, che ha promesso di continuare la guerra fino alla distruzione totale di Hamas, appare irremovibile.

Secondo le autorità di Hamas, l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza ha causato finora la morte di 40.878 persone. L’attacco di Hamas in territorio israeliano del 7 ottobre ha invece causato almeno 1.205 vittime in Israele, secondo un conteggio dell’Afp basato sugli ultimi dati israeliani disponibili.