09 settembre 2014 07:00

È la scelta giusta. Una coalizione composta da diverse decine di paesi si sta formando per contrastare lo Stato islamico, l’organizzazione che si è ormai impossessata di buona parte dell’Iraq. In quest’ottica il capo della diplomazia statunitense John Kerry comincia martedì una serie di visite in Medio Oriente, mentre il presidente Barack Obama si prepara ad annunciare mercoledì la strategia che gli Stati Uniti intendono adottare.

Bisogna fare in fretta, perché fino a quando lo Stato islamico avrà le mani libere continuerà a massacrare gli sciiti, i cristiani e gli yazidi, venderà le donne e attirerà giovani reclute dal Medio Oriente, dall’Europa e dall’Asia grazie alla sua pretesa di raccogliere il testimone da Al Qaeda. Tuttavia è probabile che le reali difficoltà cominceranno proprio nel momento in cui lo Stato islamico sarà sconfitto.

Una volta raggiunto l’obiettivo, infatti, risulterà evidente che le motivazioni dei paesi coinvolti sono diverse, e in alcuni casi contraddittorie. L’Iran vorrebbe prima di tutto ripristinare l’unità dell’Iraq sotto il controllo della maggioranza sciita. Forte di un’influenza sull’Iraq alimentata dall’invasione statunitense del 2003, Teheran intende approfittarne per proiettare la sua potenza in tutto il Medio Oriente. L’Arabia Saudita, leader del mondo sunnita, vuole invece evitare che il ricco Iraq rientri definitivamente nell’orbita iraniana contribuendo all’indebolimento strategico di Riyad.

A tutto questo bisogna aggiungere il desiderio dei curdi iracheni di approfittare del loro ruolo nella lotta contro lo Stato islamico per proclamare la propria indipendenza, il timore della Turchia che questa indipendenza possa risvegliare le ambizioni separatiste della sua minoranza curda e infine l’influenza che i diversi protagonisti della crisi esercitano in tutti i paesi della regione, a cominciare dal Libano.

Fermare lo Stato islamico al più presto è fondamentale, ma questo intervento contribuirà inevitabilmente alla balcanizzazione di un Medio Oriente le cui frontiere si stanno rapidamente sgretolando.

L’occidente si troverà dunque a gestire il problema dell’evoluzione regionale. Dovrà tentare di preservare l’unità irachena per il bene della stabilità? O al contrario dovrà evitare di impantanarsi ulteriormente in una guerra mediorientale, accontentandosi di distruggere lo Stato islamico?

È una domanda complessa, ma resta il fatto che gli Stati Uniti e l’Unione europea non hanno alcun interesse strategico a mantenere in piedi un Iraq unito, la cui sopravvivenza appare impossibile e che in ogni caso sarebbe un alleato di Teheran.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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