21 giugno 2018 16:48

Alla fine il presidente statunitense Donald Trump ha ceduto alle pressioni dell’opinione pubblica e dei parlamentari (compresi quelli del suo partito) e ha firmato un ordine esecutivo che mette fine alla politica, in vigore da circa due mesi, di separare i figli dei migranti che attraversano illegalmente il confine.

La decisione di Trump, si legge sulla maggior parte delle analisi della stampa internazionale, dimostra che la linea dura degli estremisti dell’amministrazione è stata sconfitta, e che finalmente è stata trovata una soluzione al problema dei circa 2.300 bambini separati dai loro genitori nelle ultime settimane. In realtà entrambe le affermazioni sono vere solo in parte, e c’è chi pensa che alla lunga la soluzione potrebbe essere peggiore del problema.

Per capire perché bisogna innanzitutto fare chiarezza sul meccanismo che ha portato alla separazione delle famiglie e che ha generato l’indignazione degli ultimi giorni. Contrariamente da quello che si è detto spesso, né Trump né il ministro della giustizia Jeff Sessions hanno mai firmato un decreto che ordina alla polizia di frontiera di separare i bambini dai loro genitori: si sono limitati a trasferire i procedimenti giudiziari delle persone fermate al confine dai tribunali per l’immigrazione alle corti federali.

La soluzione che propone Trump, allo stato attuale, è incarcerare i figli insieme ai genitori

Questa scelta, oltre a intasare il sistema penale statunitense, ha fatto in modo che gli adulti arrestati fossero automaticamente processati davanti a un giudice federale e quindi finissero in carcere in attesa della fine del procedimento. Cosa fare con i figli di queste persone? Non si poteva mandarli in carcere con i genitori, perché una sentenza emanata da un tribunale della California nel 1997 (il cosiddetto accordo Flores) impone che i minori siano ospitati in strutture sicure e con determinati standard sanitari, quindi la conseguenza inevitabile era la separazione delle famiglie.

E qui risiede il problema con l’ordine esecutivo firmato da Trump il 20 giugno. Il presidente si è limitato a decretare il ricongiungimento delle famiglie, senza mettere mano al problema che ha causato questa situazione: la volontà di perseguire penalmente ogni migrante irregolare. Gli adulti continueranno a essere processati per ingresso illegale nel paese (un reato minore), quindi la soluzione che propone Trump, allo stato attuale, è incarcerare i figli insieme ai genitori.

Una situazione evidentemente in contrasto con la sentenza Flores. Trump lo sa e infatti nel suo ordine esecutivo chiede al ministro della giustizia di “presentare un ricorso” in tribunale per modificare l’accordo Flores e “consentire che le famiglie entrate illegalmente vengano tenute insieme durante i processi penali”. Una modifica del genere di fatto autorizzerebbe la detenzione a tempo indeterminato di minori migranti, proprio il tipo di incarcerazione traumatica che l’accordo Flores cercava di impedire.

La soluzione più ovvia, se davvero la Casa Bianca avesse voluto fare un passo indietro, sarebbe stata tornare alla politica seguita da Barack Obama, che consisteva nel trattare i casi degli adulti entrati illegalmente nel paese nei tribunali per l’immigrazione e rilasciare le famiglie su cauzione (una scelta che, oltre a essere meno crudele, fa anche risparmiare soldi e risorse al sistema giudiziario statunitense). Ma l’amministrazione Trump ha deciso di continuare dritta sulla strada della tolleranza zero, e ora, come spiega un articolo di Slate, “lo scenario più probabile è molto preoccupante: gli attivisti si opporranno alla modifica della sentenza Flores, i tribunali sanciranno che i minori devono essere rilasciati, e l’amministrazione Trump potrebbe rispondere separando di nuovo le famiglie: i genitori saranno di nuovo detenuti da soli e i loro figli mandati in ‘rifugi’ che operano come prigioni e saremo di nuovo al punto di partenza”.

È chiaro, dunque, che Trump non ha trovato una soluzione “umana” al problema. E anche che alla Casa Bianca sono ancora gli estremisti – il ministro della giustizia Sessions e il consulente del presidente Stephen Miller – a tracciare la rotta sull’immigrazione.

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