09 ottobre 2019 12:46

Poco dopo la mezzanotte del 7 ottobre è naufragata a poche miglia da Lampedusa un’imbarcazione con una cinquantina di persone a bordo. Sono stati recuperati tredici cadaveri, tutte donne, decine di persone risultano disperse, tra queste almeno otto bambini. I sopravvissuti sono ventidue. Il sostituto procuratore di Agrigento Salvatore Vella ha aperto un’indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e omicidio colposo plurimo. Vella ha ipotizzato che l’imbarcazione sia partita dalla Libia e abbia fatto sosta in Tunisia prima di dirigersi con il maltempo verso Lampedusa, dove si è ribaltata a poche miglia dall’isola, prima che arrivassero i soccorsi.

Mentre in Lussemburgo si è concluso senza esito un vertice dei ministri della giustizia e dell’interno dell’Unione europea sull’immigrazione, in Italia il leader della Lega Matteo Salvini ha messo in relazione i morti di Lampedusa con l’aumento delle partenze dalla Tunisia e su Twitter ha commentato: “Più sbarchi, più partenze, più morti. Non occorreva uno scienziato per prevedere il disastro. Nel 2019, al 31 agosto avevamo registrato solo quattro corpi senza vita recuperati in mare e 839 dispersi denunciati. In tutto il 2018 avevamo pianto 23 morti accertati e 2.277 dispersi”. Ma cosa c’è di vero? Che relazione c’è tra la mortalità lungo la rotta del Mediterraneo centrale e il cambiamento di governo in Italia? È vero che meno partenze corrispondono a meno morti? E perché sono aumentate le partenze dalla Tunisia? C’è un rapporto tra la rotta tunisina e quella libica? C’è un’emergenza sbarchi a Lampedusa? Infine quale effetto avrà il decreto rimpatri appena varato dal ministro degli esteri Luigi Di Maio?

Meno partenze, meno morti?

Il tasso di mortalità lungo la rotta del Mediterraneo centrale è sempre stato molto alto: intorno al 2 per cento, il che corrisponde alla morte di una persona ogni cinquanta che intraprende la traversata. “Prima del 2017 morivano quattromila persone all’anno. C’è stato un primo calo del numero dei morti in mare (che sono arrivati a circa 1.100) quando si sono ridotte le partenze dalla Libia, in seguito agli accordi del governo Minniti-Gentiloni con il governo di Tripoli. Ma la pericolosità della rotta non è diminuita, anzi è rimasta sempre intorno al 2 per cento”, afferma Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi).

Secondo Villa – che monitora i dati a partire dal 2014 – il tasso di mortalità e anche il numero di morti in termini assoluti sono aumentati con l’arrivo al Viminale di Matteo Salvini e delle sue politiche di deterrenza totale e questo dimostra che non c’è una relazione univoca tra le partenze e il numero dei morti. “Il rischio di morti in mare è salito al 6 per cento con le politiche dei porti chiusi (nei quattordici mesi al governo di Salvini): questo dato è importante, perché smentisce chi dice che se diminuiscono le partenze, diminuiscono i morti”, spiega il ricercatore.

“Le partenze sono diminuite del 60 per cento, invece le morti in mare sono aumentate del 20 per cento, arrivando in termini assoluti a 1.300”. Per Villa, inoltre, c’è una relazione tra l’aumento della mortalità e del numero dei morti e l’assenza di mezzi di soccorso. “L’assenza totale di mezzi di soccorso (sia umanitari sia militari) ha coinciso con un aumento dei morti in mare: la mortalità è triplicata”, conclude il ricercatore. Dal 2014 lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono morte 19mila persone, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).

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C’è un aumento degli arrivi di migranti dalla Tunisia? C’è un’emergenza a Lampedusa?

Quello dei tunisini è il primo gruppo di migranti arrivato via mare in Italia nel 2019: sono stati circa 2.500, un terzo del totale (7.637), secondo i dati del ministero dell’interno. La ministra dell’interno Luciana Lamorgese, parlando in audizione davanti alla commissione affari costituzionali della camera il 7 ottobre, ha detto: “Non vi è dubbio che abbiamo registrato un aumento degli sbarchi autonomi provenienti dalla Tunisia. Un dato evidenzia questo trend: nel mese di settembre del 2018 gli sbarchi autonomi sono stati 701 mentre nello stesso periodo di quest’anno ammontano a 1.923. Solo nei primi quattro giorni di settembre il dato è di 321”.

Tuttavia il Viminale non esprime preoccupazione: “Sono dati che vanno contestualizzati e che possono essere riconducibili a diversi fattori tra i quali non ultimo il particolare momento politico che sta attraversando la Tunisia”. Per Matteo Villa non si può parlare di un vero e proprio trend e si tratta di numeri piccolissimi: “A settembre gli sbarchi sono raddoppiati rispetto ad agosto, ma allo stesso tempo stiamo parlando di numeri molto piccoli. Bastano pochi sbarchi in più per passare da 1.200 a 2.500 arrivi. Non possiamo ancora dire se si tratta di una fluttuazione o di una tendenza.

I numeri sono comunque piccolissimi, ce ne accorgiamo se li confrontiamo con quelli del 2016, quando sbarcavano in ventimila”. Villa, inoltre, esclude che ci sia una relazione tra l’aumento degli sbarchi dalla Tunisia e il cambiamento al vertice del Viminale lo scorso agosto. Anche il sindaco dell’isola Salvatore Martello ha sottolineato che gli sbarchi diretti dalla Tunisia a Lampedusa non si sono mai arrestati. Carlotta Sami dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) afferma che la diminuzione delle partenze dalla Libia dipende da fattori a terra come la ripresa dei combattimenti e lo stesso vale per la Tunisia, dove sono in corso le elezioni presidenziali e parlamentari. “È presto ancora per parlare di una vera e propria tendenza”, afferma Sami.

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La rotta libica si sta spostando sulla rotta tunisina?

Parlando con la stampa, il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella ha detto che mentre la rotta libica è sempre meno usata, la principale rotta di ingresso in Italia è diventata quella tunisina. Vella ha aggiunto però che i sopravvissuti al naufragio del 7 ottobre hanno detto di essere partiti dalla Libia e poi di essersi fermati a Sfax, in Tunisia, dove avrebbero caricato a bordo alcuni migranti tunisini. È la prima volta che i sopravvissuti raccontano questo tipo di percorso, sarebbe una novità da parte dei trafficanti: secondo gli esperti in generale le due rotte via terra non sono comunicanti, perché la frontiera tra Libia e Tunisia è molto controllata dalla polizia di frontiera tunisina e i flussi in entrata dalla Libia sono bassi.

“Sono piccoli i numeri dei rifugiati e dei migranti subsahariani entrati in Tunisia dalla Libia via terra. Non si è spostata la rotta, semplicemente sono diminuite le partenze dalla Libia e questo ha determinato che gli arrivi dalla Tunisia siano invece più visibili”, afferma Matteo Villa. La maggior parte delle imbarcazioni che partono dalla Tunisia trasportano tunisini, precisa Paola Pace, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). “I subsahariani preferiscono ancora partire dalla Libia, nonostante le condizioni di sicurezza deteriorate nel paese, a causa dei prezzi della traversata che sono molto più bassi. Gli arrivi via terra dalla Libia alla Tunisia non sono aumentati”, continua Pace.

Il decreto rimpatri sicuri annunciato dal ministro degli esteri Luigi Di Maio influirà sui rimpatri?

Il 6 ottobre il ministro degli esteri Luigi Di Maio insieme al ministro della giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato un nuovo decreto per “velocizzare i rimpatri” denominato decreto “rimpatri sicuri”. In realtà nel decreto si stila la lista dei paesi di origine considerati sicuri, in tutto tredici (Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Capoverde, Kosovo, Ghana, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina). La compilazione di questa lista era prevista in realtà nel primo decreto sicurezza approvato nell’ottobre del 2018 dal governo Salvini e servirà per accelerare l’esame delle domande di asilo, per le persone che provengono dai paesi nella lista.

Tuttavia per gli esperti questa lista non avrà un impatto sul numero dei rimpatri, ma produrrà invece nuovi irregolari. “Non è una cosa nuova, era già prevista dal decreto sicurezza”, afferma Matteo Villa. “Non si tratta di una lista dei paesi con cui vorremmo aumentare i rimpatri: questione per cui servirebbe stringere nuovi accordi di rimpatrio, ma è una lista di paesi che accelererà l’esame delle domande di asilo. Tra l’altro nella lista ci sono paesi che l’Italia non ha mai considerato sicuri, come l’Ucraina. Il rischio quindi è quello di negare la protezione a chi ne ha bisogno: negli ultimi anni per esempio abbiamo concesso l’asilo alla metà degli ucraini che lo hanno richiesto”, continua il ricercatore. Della stessa opinione l’ex capo di gabinetto del Viminale Mario Morcone che al Foglio ha dichiarato: “Quel decreto è privo di effetti, risponde unicamente a un’esigenza di propaganda”. Per Morcone i circa cinquemila rimpatri all’anno dell’Italia sono in linea con quelli degli altri paesi europei e dipendono unicamente dagli accordi di rimpatrio firmati: “L’Italia ha siglato accordi con Tunisia, Egitto, Marocco e Nigeria. I risultati però sono modesti. L’accordo con la Tunisia è quello che funziona meglio, si organizzano due viaggi a settimana, su voli charter con quaranta persone per volta”.

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