04 aprile 2018 15:18

Tra i luoghi comuni più abusati per descrivere una transessuale c’è l’espressione “è una donna intrappolata nel corpo di un uomo”. La cosa però è molto più complessa, più ricca di sfumature, di scoperte e di graduali liberazioni. In L’aurora delle trans cattive (Alegre), Porpora Marcasciano, storica esponente del movimento per i diritti delle persone trans e presidente del Mit (Movimento identità transessuale), descrive il percorso esistenziale e politico che l’ha portata alla costruzione di sé.

L’aurora delle trans cattive è l’ideale seguito del suo libro precedente, AntoloGaia, la cui edizione rivista è uscita nel 2015 sempre per Alegre. Se in AntoloGaia Marcasciano descriveva la proteiforme galassia dei movimenti di liberazione sessuale del 1977 che lei ha conosciuto da protagonista, nell’Aurora decide di raccontare la rivoluzione che avveniva dentro di sé, nel suo corpo e nei suoi desideri durante il percorso che da “frocia politicizzata” l’ha portata a diventare la “favolosa creatura” che ha sempre sentito di essere.

Non ci sono donne intrappolate in corpo di uomo in questa storia, ma solo “la costruzione di benessere. Stare bene con il proprio corpo. Realizzare, rendere possibile il corpo sognato”.

Politica e rivoluzionaria
Il racconto di Marcasciano è una lettura necessaria per uscire dalle semplificazioni tipiche della cultura dominante e dei mezzi di comunicazione quando descrivono le persone trans. La transessualità non è solo un percorso medico e legale che, tramite ormoni, chirurgia e cambio di documenti, libera quei corpi di donne (o di uomini nel caso dei trans da donna a uomo) intrappolati chissà dove. L’esperienza di Porpora è anzitutto politica e rivoluzionaria.

Nasce da un atto di ribellione oltre che di amore di sé, nasce dal rifiuto di consegnare il proprio corpo a un sistema patriarcale basato su una “educastrazione” (l’espressione è di Mario Mieli) che la vorrebbe solo bianca o solo nera. “Il fatto stesso di esistere era un crimine”, dice Porpora a proposito di quando, ancora adolescente a Napoli, ha avuto la sua prima epifania: un gruppo di chiassose travestite che facevano spese alla Upim alla fine degli anni sessanta.

Il prezzo da pagare è alto: è quello di vivere ai margini

Quando lo sguardo spavaldo di una di loro incrocia il suo è una specie di incantamento, di iniziazione. La sorella che è con lui, ridacchia e gli dice: “Guarda che sono maschi questi”. Porpora invece sapeva che non erano maschi, almeno non solo, ma che avevano una specie di superpotere che un giorno avrebbe avuto anche lei. Il potere di abitare il corpo desiderato e di renderlo visibile agli altri.

Il prezzo da pagare è alto: è quello di vivere ai margini. “Fare la trans” era sinonimo di prostituirsi. Nel libro si passa spesso dal microcosmo interiore della narratrice al macrocosmo intersiziale, notturno e marginale in cui vivevano le trans degli anni settanta. La Roma descritta da Porpora è fatta di pensioncine a Castro Pretorio, scantinati di San Lorenzo (a due passi da via dei Volsci, sede di uno dei collettivi storici di Autonomia operaia), locali segreti e sconfinate praterie metropolitane in cui si batteva all’aperto.

Non c’era quasi comunicazione tra il mondo di giorno (di cui facevano parte anche movimenti e collettivi) e il sottosuolo notturno delle trans. Porpora e poche altre avevano accesso a entrambi i mondi e passo dopo passo si sono poste il problema politico, della liberazione dei corpi, dei desideri e delle coscienze.

Contro l’omologazione
Nell’Aurora delle trans cattive si descrive, con tenerezza e partecipazione, la vita indolente e precaria di tante storiche trans romane tra gli anni settanta e ottanta. Una Roma sparita, sterminata da eroina, aids e, più recentemente, da un’epidemia nuova: quella dell’omologazione e della normalizzazione. È proprio per questo che, nel titolo del libro le trans che si risvegliano sono “cattive”. Sono cattive perché la loro stessa esistenza è un atto sovversivo e bollato come criminale.

Marcasciano finisce a Regina Coeli nel 1981 solo per essere uscita da una lezione universitaria travestita: “Cappottino rosso magenta con i bordi di finto pellicciotto leopardato, scarpette con un tacco leggero intonate al colore del cappotto, foulard, collane (…) un trucco più o meno leggero, non proprio da notte quanto piuttosto da lezione, che oggi risulterebbe invisibile”. La polizia la ferma insieme alla sua amica e l’arresta: passerà tre giorni e tre notti in cella a chiedersi quale fosse il suo crimine. Il solo fatto di essere uscita di casa truccata, per la legge italiana, significava adescamento, atto osceno in luogo pubblico. Il solo fatto di esistere era punibile con la galera. Solo sei mesi dopo sarebbe stata approvata la legge 164 che sanciva il riconoscimento giuridico dell’entità transessuale.

L’aurora delle trans cattive è un libro vibrante e necessario per due ragioni fondamentali. Per prima cosa restituisce dignità e identità alle pioniere sconosciute della transessualità in Italia: persone, sottolinea l’autrice, che sono morte senza neanche avere il loro vero nome sulla tomba, morte nel silenzio e nella vergogna di famiglie che ne avevano rimosso l’esistenza.

E poi perché rende la ricchezza e la complessità dell’esperienza trans, un’esperienza che ha un significato profondo di autocoscienza e di libertà. Grazie al racconto di Porpora anche una persona cisgender (al di qua quindi delle labili linee di demarcazione tra i generi) può capire che il riconoscimento e la liberazione delle persone trans è un traguardo per tutti, ovunque ci si posizioni nello spettro dei generi e delle sessualità.

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