07 giugno 2018 15:00

Gentile bibliopatologo,
sento l’obbligo di leggere tutte le introduzioni e le prefazioni dei libri, anche le più scialbe, mediocri e inutili. Sono un po’ come lo spettatore di un film fissato con i titoli di testa, e convinto che per seguire la storia sia necessario conoscere il nome dell’assistente al trucco o del galoppino del direttore della fotografia. È un caso di pedanteria patologica o forse ho paura di immergermi in un libro senza prima tastarne i contorni?

–Giacomo

Caro Giacomo,
guarda tu la coincidenza: proprio oggi, 7 giugno, è il compleanno del teorico della letteratura Gérard Genette; o meglio, lo sarebbe stato, perché l’ottantasettenne Genette ha pensato bene di morire a maggio, così da procurarsi un alibi di ferro per non dover rispondere alla tua domanda, che è tutto fuorché semplice. Alle prefazioni e alle introduzioni, o meglio all’“istanza prefativa” (perdonalo: era pur sempre francese, con l’aggravante dello strutturalismo) Genette dedicò capitoli interi di Soglie, un minuzioso studio su quelli che tu chiami i “contorni” del testo e che il sottotitolo dell’edizione italiana chiamava invece i “dintorni” – copertine, dediche, epigrafi, note. La risposta alla tua domanda non la troverai in quelle pagine, e Genette come ti ho detto si è appena dato alla macchia varcando l’ultima soglia; ma un bandolo da cui partire puoi cercarlo nel paragrafo intitolato “Scappatoie”, e precisamente in un passo che parla di Henry Fielding:

All’inizio del Libro V di Tom Jones, Fielding spiega così la presenza delle diciotto prefazioni, o capitoli preliminari, o ‘saggi in forma di digressione’ che ha voluto fossero ‘laboriosamente noiosi’: sono là per fare apparire il seguito più divertente, per contrasto, come le persone eleganti di Bath, che ‘si sforzano di sembrare bruttissime la mattina per mettere in evidenza la bellezza che hanno l’intenzione di mostrarvi la sera’.

Anche se tra le funzioni della prefazione Genette non ha incluso esplicitamente la tortura, è chiaro che il meccanismo è quello: a che altro servivano gli antichi supplizi, se non a spingerti a implorare il torturatore di farli cessare, a costo di confessarti eretico o stregone? Allo stesso modo, certe prefazioni stanno lì perché il lettore possa maledirle a suon di sbadigli, augurandosi la loro fine immediata. Dopo, anche il romanzo più insulso non sembrerà così male.

Henry Fielding, sempre in Tom Jones, era ricorso al paragone con il teatro, per dire che il prologo di un dramma, come la prefazione di un libro, “permette al pubblico scontento di provare la propria capacità di fischiare, e d’intonare i suoi zufoli nel modo migliore”. In aggiunta, dà l’occasione di starsene distratti un po’ più a lungo o di risparmiarsi qualche pagina, “cosa importante per quelli che leggono i libri con l’unico scopo di poter dire che li hanno letti”.

Mi obietterai: non tutte le prefazioni sono strumenti di tortura, ce ne sono di bellissime, più belle dei libri stessi. È vero, e qui torna utile il tuo paragone con lo spettatore che guarda i titoli di testa. Piccola digressione: da quanti decenni non entri in un cinema? Ne è passata di acqua sotto i ponti, dai quattordici minuti di titoli di C’era una volta il West (1968) di Sergio Leone! Eppure, con o senza titoli di testa dettagliati, moltissimi spettatori non riescono a godersi pienamente un film se non dopo aver visto tutti i trailer, le pubblicità e le istruzioni sulle uscite di sicurezza della sala. Perché? Sospetto che la risposta sia molto semplice: perché stanno entrando in un altro mondo, e l’ingresso in un altro mondo richiede un piccolo rito di passaggio, o comunque una transizione morbida, un’immersione graduale, un cauto oltrepassamento della soglia. Appena qualche minuto, il tempo di dimenticarsi la vita fuori dal cinema, le strade, i rumori della città.

Belli o brutti, brillanti o noiosi, i “dintorni del testo” servono anche a questo, a far da stato cuscinetto tra due potenze rivali: l’impero della realtà e l’impero della finzione. Se non scoppia una guerra, è anche merito di quella ingegnosa creazione diplomatica che sono le prefazioni.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

Dal 5 al 7 ottobre Guido Vitiello terrà un workshop sull’arte della recensione al festival di Internazionale a Ferrara.

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