22 ottobre 2019 13:02

Gentile bibliopatologo,
le scrivo poiché la sua temporanea assenza ha generato in me una sorta di psicosi. Penso di essere diventata “bibliopatologopatica”. Non potendo godere da un po’ delle sue consulenze mi sento come il vigoroso Sansone a cui hanno tagliato la folta chioma. Solo lei può aiutarmi a uscire da questa impasse.

– Fedefores

Cara Fedefores,
ti rivelo un espediente – tutto sommato innocuo – a cui ricorrono le vecchie volpi della politica quando, abbandonata la scena in modo più o meno solenne, sono smaniose di tornare sotto le luci della ribalta. Che fa, allora, il prepensionato riluttante? Mette in moto la sua rete di conoscenze per sollecitare un appello, o addirittura una pagina a pagamento su un giornale, in cui notabili, eminenze, eccellenze, imprenditori, uomini di cultura e di spettacolo, nonché un buon numero di volenterosi cittadini in conto di quello strano sarchiapone chiamato società civile, lo pregano di ricandidarsi. Così lui potrà dire, con studiata modestia, di aver risposto a una chiamata, e di averlo fatto quasi suo malgrado, per senso di responsabilità, non certo perché pungolato dalle impazienti richieste della vanità o dai tormenti della noia. Ecco, non è questo il mio caso, e io so che tu sai che io so – ma gli altri non sanno – che la tua lettera non me la sono inventata per riaprire bottega.

Maskot, Getty Images

Questo però rende tutto più inquietante. Al tuo, che è il primo caso noto di bibliopatologopatia, o crisi di astinenza da bibliopatologo, si può applicare con un brivido l’aforisma di Karl Kraus secondo cui “la psicoanalisi è la malattia che pretende di curare”. Che disastro! Da obnubilato filantropo, pensavo di poter guarire qualche nevrosi letteraria: scopro invece di averne create di nuove. Avevo dimenticato che qualunque diagnosi, anche la diagnosi di un male immaginario, attira immediatamente torme di ipocondriaci; che quello che gli americani chiamano disease mongering, ossia la presentazione di cose normalissime come se fossero patologiche, è oltretutto un grosso affare; e che se oggi annunciassi, per esempio, che la lettura di libri troppo voluminosi può generare un’infiammazione articolare nota nei manuali come Severe Infinite jest arthritis (Sija), probabilmente riceverei qualche lettera preoccupata in cui mi si chiede che pomate usare, e se sia prudente attaccare M – Il figlio del secolo di Scurati subito dopo aver finito La scuola cattolica di Albinati.

Nel tuo caso, si tratta in maniera lampante di uno di quelli che Sigmund Freud (Il problema dell’analisi condotta da non medici, 1926) avrebbe chiamato “inconvenienti della nevrosi di traslazione”. Il transfert ha funzionato così bene che ora associ l’angoscia di separazione dal tuo bibliopatologo all’ansia di castrazione (il taglio della chioma di Sansone è un esempio classico della letteratura psicoanalitica). E in casi simili, dice Freud, licenziare il malato al primo apparire di questi inconvenienti sarebbe una viltà: “Sarebbe comportarsi come uno che evocasse gli spiriti per fuggirsene via una volta che quelli comparissero”. Ecco, se Freud fosse ancora tra noi comprerebbe una pagina pubblicitaria per divulgare un appello firmato da Jung, Adler, Ferenczi, Rank e tutta la brigata, dove si chiederebbe al bibliopatologo di tornare a curare la sua rubrica. E io, per senso di responsabilità, potrei non rispondere alla solenne chiamata civile?

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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