21 novembre 2019 17:01

Stefano Cucchi, Giuseppe Pinelli, Eluana Englaro, Peppino Impastato, Piazza Fontana, Ustica, l’Ilva di Taranto, la strage di via D’Amelio. La storia d’Italia è anche una storia di ferite mai rimarginate, di morti tragiche, di processi insabbiati. Una storia di ingiustizie.

Alberto Gandolfo, fotografo palermitano, comincia la sua personale indagine fotografica nelle zone d’ombra d’Italia nel 2017, incontrando e intrecciando relazioni profonde con i familiari delle vittime di 27 vicende di cronaca degli ultimi cinquant’anni. Il suo lavoro ci porta a nominare una per una le vittime di alcuni dei fatti più terribili che hanno segnato la nostra memoria individuale e collettiva, a ricordarci chi, come, quando e perché, e a rinnovare la rabbia e la commozione, così come il desiderio di avere giustizia per loro e per tutti, restituendo alla fotografia il suo ruolo di documento e di strumento di denuncia.

Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia nel 1992. (Alberto Gandolfo)

“Conosciamo le storie di cronaca, ricordiamo com’erano i volti delle persone tragicamente scomparse, ma poco o nulla sappiamo di chi resta, di quelle persone che, oltre a vivere un grande dolore, dovuto alla perdita di un proprio caro, ereditano battaglie portate avanti alla ricerca della verità e della giustizia. Una giustizia che non riguarda solo le loro vicende personali, ma che investe tutta la collettività”, dichiara Alberto Gandolfo.

Questa lunga indagine è diventata un libro fotografico dal titolo Quello che resta, che si apre con i ritratti dei familiari di Peppino Impastato, comunista ucciso dalla mafia nel 1978, e si chiude con il ritratto di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto nel 2009 al reparto detenuti dell’ospedale Pertini di Roma e il cui processo si è concluso proprio in queste settimane, con la condanna a 12 anni per omicidio preterintenzionale dei carabinieri che l’avevano in custodia.

Licia Pinelli, moglie del ferroviere anarchico Giuseppe. Pinelli morì precipitando da una finestra della questura di Milano nel 1969. (Alberto Gandolfo)

Gandolfo ha scelto di lavorare con la fotografia istantanea, per costruire una relazione immediata con i suoi soggetti, e poter guardare e toccare subito insieme i ritratti appena scattati. Un piccolo formato per costringere chi guarda ad avvicinarsi, a guardare negli occhi chi è rimasto e illuminare così insieme le zone d’ombra di questo paese.

Quello che resta è un volume curato da Benedetta Donato e pubblicato da Silvana Editoriale, con un’introduzione di Giovanna Calvenzi. Le foto di Alberto Gandolfo sono in mostra fino al 24 novembre negli spazi di Officine Fotografiche a Milano.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it