07 settembre 2018 16:15

Dark crimes, del regista greco Alexandros Avranas, è un film statunitense, liberamente ispirato a un articolo di David Grann sul New Yorker incentrato sull’omicidio di un uomo d’affari di Cracovia. Jim Carrey interpreta Tadek, un detective della polizia polacca ossessionato dal caso. Tadek è convinto che il colpevole sia un famoso scrittore, che in un libro mai pubblicato descrive il delitto.

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L’ambientazione nella Cracovia postcomunista, filologicamente esatta, non aggiunge molto al film, se non la possibilità di indugiare in una cupezza generale senza sensi di colpa e di infilare qua e là qualche busto di Lenin. Non si capisce bene. Se Sean Penn è riuscito a trasportare La promessa di Dürrenmatt dal cantone dei Grigioni al Canada, forse l’omicidio di Dariusz Janiszewski si poteva ambientare più o meno ovunque.

Il film non decolla mai: tensione più o meno inesistente, personaggi poco empatici. Per esempio Jim Carrey (che continua a non trovare copioni alla sua altezza) resta diligentemente attaccato a un personaggio monodimensionale e neanche la comparsa di Charlotte Gainsbourg riesce a ravvivare la situazione.

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Ah, il marketing… Revenge di Coralie Fargeat è presentato come il “primo revenge movie scritto e diretto da una donna”. Al di là della discutibile etichetta (revenge movie) mi sfugge il senso di questa presentazione, nella speranza che il #MeToo non sia diventato una nicchia di mercato. Comunque. In una villa isolata in una qualche prateria (direi nordamericana) arrivano un coattone tremendo (canadese?) insieme a una bella ragazza. Presto capiamo che lui è un ricco uomo sposato e lei una giovane che ama divertirsi. A rompere l’idillio arrivano due compari del coattone, convenuti in mezzo al nulla per la loro battuta di caccia annuale (caccia al coyote?).

Il film non presenta sorprese particolari. Quello che può andare male andrà male e ognuno avrà l’occasione di mostrare la sua vera natura, in particolare i tre orrendi uomini. Quella che fa la figura migliore di tutti è Matilda Lutz, nata a Milano da papà statunitense e mamma italiana, già vista in L’Universale di Federico Micali e L’estate addosso di Gabriele Muccino. Convincente sia quando fa il verso a Carroll Baker, la Lolita di Kubrick, sia quando si aggira armata di fucile in versione Lara Croft coperta di sangue.

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A proposito di Lara Croft. In La ragazza dei tulipani di Justin Chadwick, un’Alicia Vikander che sembra il fantasma della grintosa Gerda (il personaggio di The danish girl che le valse l’Oscar), interpreta Sophia, un’orfana che un ricco mercante olandese (Christoph Waltz) tira fuori dal convento per farne la madre dei suoi eredi. Siamo nel seicento, Amsterdam è una città ricchissima e piena di opportunità per chi vuole speculare sui commerci. Uno dei motivi del successo del libro di Deborah Moggach da cui il film è tratto è che raccontava, sullo sfondo, una delle prime bolle speculative della storia, cioè quella sul commercio dei bulbi dei tulipani. Il romanzo uscì nel 1999 quando un’altra bolla, quella della new economy, stava allegramente scoppiando.

L’uscita del film non ha avuto lo stesso tempismo. E come ricorda Peter Debruge su Variety il tempismo è fondamentale. Ma al di là del tempismo, niente può salvare una storia d’amore che non coinvolge, come quella tra Sophia e il pittore incaricato di farle il ritratto, interpretato da Dane DeHaan (che come impietosamente scrive Jordan Hoffman sul Guardian esprime “la vitalità di una ciotola di cereali lasciata sotto la pioggia”). In più Alicia Vikander ha ormai incassato l’incassabile dal suo Oscar e da lei adesso vogliamo ritrovare la verve della moglie della ragazza danese o almeno l’appeal del robot di Ex machina.

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In uscita anche Mamma mia! Ci risiamo di Ol Parker. In questo sequel/prequel, la riapertura dell’hotel Bella Donna da parte di Sophie (Amanda Seyfried) è l’occasione per ritrovare il cast del primo film e farci rivivere le origini di tutto attraverso dei flashback. Lily James interpreta la giovane Meryl Streep. Due gocce d’acqua.

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