13 dicembre 2018 17:57

Chissà perché si è portati a considerare l’Islanda come un’isola felice dove i pochi abitanti formano tutti una grande famiglia. Ma la globalizzazione è arrivata anche sul tetto del mondo. E conservando ovviamente alcune peculiarità, l’Islanda non è poi così diversa dal resto dell’occidente. D’altronde ce lo aveva già detto, di recente, il film Passeri di Rúnar Rúnarsson. Come si capisce fin dalla prima sequenza della Donna elettrica di Benedikt Erlingsson, Halla (Halldóra Geirharðsdóttir) è una guerriera. Combatte le grandi industrie e il capitale che sta rovinando definitivamente il pianeta, violando tutte le possibili leggi ancestrali e universali che hanno reso possibile la vita sulla Terra.

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La sua missione e la sua identità segreta, che Halla nasconde dietro un nome di battaglia come i migliori supereroi, sono messe in discussione dalla notizia che la sua domanda di adottare un bambino è stata finalmente accettata. Impossibile conciliare la militanza ambientalista con la cura di una piccola orfana che arriva dall’Ucraina. Ma la vera minaccia ad Halla arriva dal governo che, aiutato da americani e cinesi, sta stringendo il cerchio intorno alla donna elettrica.

La donna elettrica è un bellissimo film. Benedikt Erlingsson tiene insieme tutto, dai vichinghi alle strumentalizzazioni della politica e dei mezzi d’informazione, dall’Odissea ai droni. Con mestiere e qualche colpo di genio (come l’uso “attivo” della colonna sonora), il regista riesce a sintetizzare commedia, sentimenti, sequenze d’azione, thriller politico, riflessione sulle nostre origini, sul nostro futuro, sull’ambiente, sulla società occidentale. Fantastica la protagonista Halldóra Geirharðsdóttir, la sua fierezza mi ha fatto pensare a una specie di lady Stark, però meno superba, più simpatica, più bella.

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Che film delizioso Un piccolo favore di Paul Feig, una commedia nera o, come qualcuno l’ha definito, un “new noir”. Anna Kendrick è Stephanie, vedova con figlio a carico, che nel poco tempo libero gestisce un vlog dedicato alle mamme. Blake Lively invece è Emily, sofisticata pr, con un marito attraente, un guardaroba pazzesco e una bellissima casa. Fanno amicizia perché i loro figli vanno a scuola insieme. Poi, all’improvviso, Emily scompare. Le due protagoniste sono perfette, la regia è divertente, ha ritmo e dialoghi eccellenti. Anna Kendrick e Blake Lively non sono una sorpresa, ma fanno proprio una bella accoppiata. Insomma niente da dire, o quasi. Perché alla fine non ho potuto fare a meno di sentirmi un po’ preso in giro.

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Maggie Gyllenhaal è la protagonista di Lontano da qui di Sara Colangelo (premio per la miglior regia al Sundance 2018), remake di Haganenet (2014) dell’israeliano Nadav Lapid. Gyllenhaal interpreta Lisa, maestra d’asilo di Staten Island, appassionata di poesia e insoddisfatta della sua vita, troppo povera di stimoli letterari. Un grande incentivo arriva dal suo luogo di lavoro. Un bimbo di 5 anni si rivela un talento poetico fuori dal comune. Lisa decide quindi di prenderlo sotto la sua ala protettrice, ma l’entusiasmo la spinge su una strada senza ritorno. “L’autrice”, scrive Jeannette Catsoulis sul New York Times, “confonde abilmente le linee di confine tra coltivare il talento di una persona e plagiarlo” e “non lascia allo spettatore nessuna confortante scappatoia morale”. Gael García Bernal interpreta l’incoraggiante insegnante di poesia di Lisa.

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In uscita anche il thriller di Stefano Mordini Il testimone invisibile, con Riccardo Scamarcio, Miriam Leone e Fabrizio Bentivoglio, e il distopico Macchine mortali di Christian Rivers, protegé di sua maestà Peter Jackson.

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