25 ottobre 2019 17:29

In alcuni film horror, thriller o anche film avventurosi, i due protagonisti, che all’inizio sono quasi sconosciuti e anzi vagamente si detestano, alla fine si ritrovano legati indissolubilmente da un’esperienza che li ha segnati profondamente. In Sole succede qualcosa di simile. Lena, polacca di poco più di vent’anni incinta, ha accettato di “vendere” la bambina che porta in grembo. Ermanno, apatico giovanotto che passa il tempo davanti alle slot machine, ha accettato di riconoscere la bimba per facilitarne l’affidamento a un suo zio e alla moglie che non possono avere figli.

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I due passano qualche settimana nell’appartamento di Ermanno, su quel litorale laziale che ormai è ambientazione tipica per ogni storia che si svolge sulla frontiera del disagio, del disadattamento, dell’alienazione e così via. Il primo lungometraggio di Carlo Sironi, accolto molto bene alla mostra del cinema di Venezia (sezione Orizzonti), non è un horror né un thriller né un film di avventura. Ma con i protagonisti di quei film, Ermanno e Lena condividono il fatto di vivere un’esperienza al limite, come spiega anche Carlo Sironi nella sua Anatomia di una scena. E viene da chiedersi che futuro ci sia per loro, in quel luogo di frontiera.

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A proposito di horror, sono due le proposte del genere in uscita, tutt’e due abbastanza gustose: Scary stories to tell in the dark, di André Øvredal, e Finché morte non ci separi di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett. Il primo, una creatura di Guillermo del Toro che produce e firma la sceneggiatura, è una specie di adattamento delle Scary stories di Alvin Schwartz, antologia di storie paurose pensato per le notti di Halloween dei bambini statunitensi. Impacchettate in una storia coerente che comprende un gruppo di ragazzini, una casa stregata e un libro maledetto, nel film di Øvredal ci sono infinite citazioni del genere horror, da quello più commerciale a quello più autoriale.

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Nel secondo, una ragazza orfana diventa la moglie di un ricco rampollo di una famiglia che ha fatto fortuna con i giochi da tavolo. Quella che sembra una situazione da Cenerentola, si tinge di rosso: per entrare a far parte della tribù la ragazza deve “sopravvivere” alla prima notte di nozze e a un peculiare rituale della famiglia che l’ha accolta. Finché morte non ci separi è una cosiddetta commedia horror e il sangue a secchi, come scrive Ian Freer su Empire, è di quello che diverte, non di quello che disgusta. E in tema di matrimoni, il film in dote ci porta la brillante interpretazione di Samara Weaving, nipote di Hugo.

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Che dire di Downton abbey, diretto da Michael Engler e scritto da Julian Fellowes? Chiunque ha seguito e apprezzato la serie tv non ha bisogno certo di esortazioni ad andare a vederlo. Forse basta sapere che ritroveremo praticamente tutti i personaggi dell’ultima stagione. Ma il film, assicurano, lo può vedere anche chi non ha mai visto la serie. Allora sorge una nuova domanda: perché chi non ha seguito e apprezzato la serie, chi non si è mai appassionato alle vicende della famiglia Crawley e della loro nutrita servitù, dovrebbe andare a vedere il film di Downton abbey? Spero di avere a breve la risposta.

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