“Non mi fido della realtà. Tutto quello che scrivo e dipingo sulle fotografie nasce dalla frustrazione di non riuscire a esprimere quello che non vediamo.” Con queste parole il fotografo statunitense Duane Michals ha descritto il suo approccio artistico.

Michals è nato nel 1932 a McKeesport, in Pennsylvania. Dopo la laurea a Denver si è iscritto alla Parsons school of design di New York, dove ha frequentato i corsi ma senza diplomarsi. Nel 1958, un viaggio in Unione Sovietica gli ha fornito l’occasione per avvicinarsi alla fotografia. Tornato a New York, ha collaborato come freelance con le riviste Vogue, Esquire e Mademoiselle, lavorando contemporaneamente su progetti più personali.

E dagli anni sessanta le creazioni di Michals cominciano a discostarsi dalla tradizione, sia nella fotografia documentaristica sia in quella artistica. Costruisce sequenze narrative, scrive poesie e messaggi sulle immagini e sperimenta con l’esposizione multipla. Realizza così dei poemi visivi, toccanti ma senza sentimentalismi. Michals ha sfidato l’estetica degli anni sessanta e settanta, agendo sempre come un narratore che ha seguito senza timori il suo percorso.

Il Carnegie museum of art di Pittsburgh presenta una delle retrospettive più complete sull’autore, dalle prime foto degli anni cinquanta ai lavori commissionati fino a quelli che l’hanno reso famoso. La mostra rimarrà aperta fino al 16 febbraio 2015.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it