04 maggio 2018 15:41

“Quando guardi le mie fotografie, stai guardando i miei pensieri”: una frase che rende da subito chiaro l’approccio alla fotografia di Duane Michals.

Nato nel 1932 a McKeesport, in Pennsylvania, durante gli studi universitari si dedica prima all’arte e poi al disegno; alla fotografia si avvicina nel 1958, durante un viaggio in Unione Sovietica, usando una macchina presa in prestito. Tornato a New York lavora da freelance per Esquire, Mademoiselle, Vogue e al lavoro su commissione affianca una ricerca più personale.

Ed è proprio nella sperimentazione che Michals mette a punto il suo stile, lontano dalle regole e dai luoghi comuni. Dal 1966 introduce le sequenze per raccontare storie immaginarie dove le foto incontrano le parole, scritte a mano direttamente sulla stampa. Influenzato da artisti come René Magritte, Balthus e Giorgio De Chirico, Michals afferma con questa tecnica di non essere interessato alla realtà fotografica ma di volere cercare ciò che non può essere visto. Con un approccio giocoso e ironico, l’artista esplora la sua personalità e identità, interrogandosi su temi come la morte e la sessualità.

La carriera di Michals viene ripercorsa da una grande retrospettiva organizzata dal museo Ettore Fico di Torino, in collaborazione con la Fundación Mapfre di Madrid. La mostra sarà aperta fino al 29 luglio e fa parte del progetto Fo.To., in cui diversi spazi della città promuovono da maggio a luglio eventi legati alla fotografia.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it