20 febbraio 2020 17:07

Nell’autunno del 1960 la rivista britannica Queen chiede a Bruce Davidson di raccontare il Regno Unito, nella maniera più libera e personale possibile. Il fotografo comincia da Londra, dove resta per qualche settimana, per poi spostarsi sulla costa meridionale e in Scozia.

Davidson, fotografo dell’agenzia Magnum nato nel 1933 nell’Illinois, vede una società ancora segnata dai traumi della guerra e dall’austerità, in cui emerge una grande distanza tra vita urbana e rurale. In particolare rimane colpito dagli adolescenti londinesi, che sono completamente diversi da quelli a cui è abituato. “C’era un’atmosfera di un certo tipo” racconta Davidson, “era un’Inghilterra che stava svanendo nei Beatles e nella modernità”. Il suo reportage viene pubblicato nel 1961 con il titolo Seeing ourselves as an American sees us: a picture essay on Britain.

Le foto sono ora esposte alla galleria Huxley-Parlour di Londra, fino al 14 marzo. Bruce Davidson: a United Kingdom include anche il suo reportage in Galles scattato sempre negli anni sessanta. Qualche anno prima, mentre presta servizio nell’esercito statunitense, Davidson chiede a un sergente gallese dove avrebbe mandato il suo peggiore nemico. La risposta è Cwmcarm. Quando nel 1965 si ritrova a fare un servizio sul castello di Caernarfon, decide che è giunto il momento di conoscere quella città mineraria nel sud del Galles, dove nessuno vuole andare. Nasce così una storia su un paesaggio devastato dall’industria, abitato solo dai minatori e dalle loro famiglie. “Era bellissimo ma anche terribile”, dichiara il fotografo, che sceglie di concentrarsi soprattutto sulla vita della comunità fuori dalle miniere. E ricordando un altro reportage di un illustre collega dice: “Io ho trovato il mio Galles. Robert Capa aveva il suo, io il mio”.

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