Mai come oggi, con la pandemia di covid-19, i governi dovrebbero sostenere il personale sanitario. Ma non è quel che è successo in Egitto ai medici e ai farmacisti che hanno osato criticare la gestione della crisi: almeno nove sono stati arrestati e accusati di terrorismo e di aver diffuso notizie false. Non è una sorpresa per chi ha osservato come lo spazio per il dibattito o l’attivismo si sia ridotto dal 2013, quando il generale Abdel Fattah al Sisi ha preso il potere con un colpo di stato. Gli operatori sanitari sono solo gli ultimi a finire nel mirino del regime.

Eppure Al Sisi continua a essere corteggiato dai governi occidentali, senza alcun accenno alle violazioni dei diritti umani che avvengono sotto la sua responsabilità. Questo ha incoraggiato le autorità egiziane a inasprire la repressione. I sostenitori di Al Sisi affermano che ha stabilizzato il paese e ha rilanciato un’economia agonizzante. Il suo colpo di stato è stato appoggiato da molti egiziani, dopo che il breve esperimento democratico seguito alla rivoluzione del 2011 aveva portato al potere i Fratelli musulmani. Ma niente di tutto questo giustifica la brutale repressione del regime, durante la quale moltissimi attivisti laici, blogger, giornalisti e lavoratori delle ong sono stati imprigionati, privati del diritto alla difesa e torturati. Ai sostenitori dei Fratelli musulmani è andata ancora peggio: le forze di sicurezza ne hanno uccisi almeno ottocento durante il massacro di Raaba, nel 2013.

Per i governi occidentali l’Egitto è un alleato importante. La stabilità di un paese mediterraneo da cento milioni di abitanti, che confina con Israele e con l’Africa subsahariana, è una priorità per tutti. Ma offrire sostegno incondizionato a uno stato di polizia, ignorando sette anni di abusi, non aiuta la stabilità. In un paese dove l’economia era già fragile prima della pandemia, i governi occidentali farebbero meglio a usare la loro influenza per spingere il regime a rispettare i diritti umani, a permettere il dibattito politico e ad allentare il bavaglio sulla stampa.

Al Sisi ha schiacciato ogni opposizione, ma non può continuare per sempre a governare con il pugno di ferro una popolazione in crescita e con sempre maggiori difficoltà economiche. La lezione delle rivoluzioni arabe del 2011 è che anche chi vive nelle società più repressive può raggiungere il punto in cui la rabbia diventa più forte della paura. Se gli alleati del Cairo vogliono un Egitto più prospero e stabile, devono smettere di chiudere un occhio sugli abusi di Al Sisi. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1367 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati