Finora gli sforzi internazionali per contenere la crisi climatica si sono concentrati sulla riduzione delle emissioni di gas serra, in particolare l’anidride carbonica. È una strategia razionale: oggi la temperatura media globale è superiore di 1,1 °C rispetto all’era preindustriale, e la principale responsabile è l’anidride carbonica. Come altri gas serra, si sprigiona bruciando combustibili fossili per generare energia o alimentare motori, producendo acciaio e cemento, praticando l’allevamento intensivo e distruggendo le foreste. L’unico modo per impedire il riscaldamento della Terra è eliminare le emissioni.
Ma queste non causano un aumento istantaneo della temperatura globale, così come la loro riduzione non porta a un istantaneo raffreddamento. Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, ci vorranno decenni prima che le politiche attuate oggi producano un effetto significativo sul clima.
Servendosi dei modelli climatici, Bjorn Samset e i suoi colleghi del Centro di ricerca internazionale sul clima e sull’ambiente di Oslo hanno ipotizzato degli scenari in cui le emissioni di nove sostanze inquinanti, tra cui l’anidride carbonica e il metano, sono azzerate o ridotte del 5 per cento all’anno a partire dal 2020. I ricercatori hanno analizzato la riduzione delle emissioni delle singole sostanze separatamente, per valutarne la reale efficacia.
Taglio del 5 per cento
Le simulazioni hanno stabilito che il taglio delle emissioni di anidride carbonica rallenterebbe il riscaldamento a partire dal 2033, ma solo se fossero azzerate in tutto il mondo già nel 2020. Di fatto questo significherebbe rinunciare da un giorno all’altro all’80 per cento delle fonti di energia mondiali, comprese le centrali elettriche a combustibili fossili, ipotesi tutt’altro che realistica o auspicabile. Un taglio del 5 per cento all’anno a partire dal 2020 frenerebbe il riscaldamento in modo statisticamente significativo solo a partire dal 2044. Eppure anche una riduzione delle emissioni del 5 per cento è considerata un obiettivo ambizioso, paragonabile al calo del 4-7 per cento stimato quest’anno a causa della pandemia di covid-19.
L’effetto ritardato del taglio delle emissioni è dovuto in parte alla naturale variabilità del clima. Un fenomeno significativo come El Niño, per esempio, può frenare o accelerare il riscaldamento prodotto dai gas serra.
Inoltre, più del 90 per cento dell’energia intrappolata dalle emissioni prodotte negli ultimi cinquant’anni è stato immagazzinato nel mare e viene rilasciato lentamente nell’atmosfera sotto forma di calore. Anche se le emissioni fossero azzerate da un giorno all’altro, la temperatura continuerebbe a salire per anni.
Ma il motivo principale dell’effetto ritardato è che l’anidride carbonica rimane nell’atmosfera per decenni, e a volte secoli, prima di essere riassorbita dalla vegetazione e dal mare. Non è così per tutte le sostanze inquinanti. Ogni molecola di metano riscalda il pianeta 84-87 volte di più, nell’arco di vent’anni, ma rimane nell’atmosfera solo pochi anni. Ecco perché si parla tanto di ridurre le emissioni di metano, eliminando le perdite nelle infrastrutture del gas naturale e riducendo le emissioni negli allevamenti. Ma secondo Samset e colleghi, azzerare le emissioni di metano nel 2020 non avrebbe effetti sul clima prima del 2039.
Nonostante questo, ridurre le emissioni rimane fondamentale per stabilizzare il clima e raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi, cioè limitare il riscaldamento del pianeta a 1,5-2 °C. Secondo Samset, però, la temperatura non è il parametro migliore per misurare l’efficacia delle politiche climatiche, almeno fino al 2040. È più utile misurare la concentrazione di gas serra nell’atmosfera, perché esclude l’effetto della naturale variabilità del clima. E perché, senza una comunicazione efficace, l’opinione pubblica potrebbe opporsi a politiche che sembrano inutili.
Ma l’aspetto più importante è che, oltre a ridurre le emissioni, governi e società devono intensificare gli sforzi per adattarsi all’inevitabile riscaldamento dei prossimi anni. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1367 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati