La famiglia Berg è un debutto sensazionale, che mette in ombra la maggior parte della narrativa svedese contemporanea. Testimonia la ricchezza e il potere della letteratura. Gran parte dell’azione si svolge a Göteborg dagli anni ottanta in poi. Al centro c’è un trio: l’editore Martin Berg, un uomo di cinquant’anni in crisi esistenziale che convive con il sogno svanito di diventare un autore; sua moglie Cecilia, intellettuale che ha abbandonato lui e i due figli quindici anni prima; il pittore di successo Gustav Becker, che ha dipinto le sue opere migliori quando frequentava la coppia, spesso avendo Cecilia come modella e musa ispiratrice. Il triangolo vibra di tensioni creative, tra la scelta di sacrificare amori e affetti in nome dell’arte e dell’attività intellettuale e la scelta di rimettersi in riga, di sostenere la propria famiglia, di essere adulti. Altre scintille si sprigionano dall’amore maschile impossibile, dal desiderio femminile di libertà, dal dolore dell’infedeltà, dalla vergogna della dipendenza, della malattia mentale e altro ancora. La famiglia Berg suscita domande sulla letteratura e sul pensiero, sulla libertà e sull’amore, sul modo in cui dovremmo vivere. Sandgren scrive nel solco di Émile Zola, ma a differenza del naturalista francese non sembra voler cambiare il mondo e non si concentra sulla miseria. Il romanzo è vivace e divertente, ma il suo umore fondamentale è la malinconia. Lydia Sandgren ci dà la sensazione sublime di un’infinità di significati e di connessioni.
Carl-Michael Edenborg, Aftonbladet
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Questo articolo è uscito sul numero 1401 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati