Dalia Sofer è una scrittrice ebrea iraniana-americana la cui famiglia è espatriata a New York dopo che suo padre fu imprigionato e torturato nel 1980. Con Uomo del mio tempo racconta la storia della rivoluzione e le sue conseguenze dal punto di vista di un collaborazionista. Hamid, il cui radicalismo si fonda non tanto sull’adesione a dei princìpi quanto sul disprezzo verso il padre prepotente, ripensa alla sua rottura con la famiglia (fuggita negli Stati Uniti) e ai suoi anni come riluttante torturatore. Il filo del racconto lo porta a New York nel 2017, quando affronta sua madre e suo fratello e raccoglie le ceneri di suo padre, che desiderava essere sepolto in Iran. Giunto ormai alla mezza età, è l’ombra di un uomo che odia se stesso, pronto ad affrontare il suo passato. Sofer dà il meglio di sé evocando la gioventù combattiva di Hamid. L’Iran prerivoluzionario è un calderone di scontenti. Hamid si rivela perspicace sul potere dei sermoni e dei manifesti nel galvanizzare la rivolta. Mentre la storia iraniana svanisce sullo sfondo, Sofer si sofferma sulla vergogna di Hamid. Ma le lacrime del torturatore lasciano indifferenti. Sam Sacks, The Wall Street Journal
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Questo articolo è uscito sul numero 1407 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati