C’è qualcosa di divertente nell’idea di un film sull’infinitezza che dura solo 76 minuti. Ma Roy Andersson – il rinnegato maestro svedese il cui puntinismo a diorami sulla condizione umana è messo insieme con lo stesso rigore con cui Seurat dipingeva i suoi paesaggi – non scherza, almeno non sempre. Nel suo repertorio di vignette cupamente comiche la banalità e l’epica vanno mano nella mano. Anche se il titolo può sembrare una freddura, in realtà si può interpretare in senso letterale, perché Sull’infinitezza – il film meno divertente e forse più delicato di Andersson – adotta le qualità della vita stessa: è corto e al tempo stesso infinito. Ogni sequenza finisce presto, ma avrebbe potuto andare avanti per sempre. Ci sono scene assurde, scene di perdita, scene di dolore e anche scene di gioia. In alcune sequenze vediamo personaggi storici sull’orlo della loro estrema sconfitta, in altre delle persone qualunque che guardano il panorama da una panchina. In ogni caso non ci sono dubbi che il film sia più della somma delle sue parti. David Ehrlich, IndieWire

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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati