In Una famiglia come tante Sylvie Schenk scandaglia le profondità psicologiche di una famiglia allargata francese. Il suo tono è ambivalente: “Una famiglia è una culla, una prigione, un armadio dei veleni, è un rifugio. Niente è reale. Non si può fare affidamento su nulla”. Visto in questa luce, il clan dei fratelli Cardin è in effetti una famiglia terribilmente ordinaria, con una quantità media di disgrazie e di segreti nascosti sotto la superficie. L’autrice usa come gancio drammaturgico un evento con il massimo potenziale di conflitto: una disputa sull’eredità. Céline, la protagonista, una donna sulla sessantina, è in viaggio verso la sua vecchia casa per il funerale di zia Tamara e zio Simon. È l’intellettuale dei quattro fratelli Cardin e ha lasciato presto il suo villaggio natale nelle Alpi francesi per sposare un tedesco. Al servizio funebre rivedrà la famiglia dopo anni. La zia e lo zio sono morti anziani e senza figli a tre ore di distanza l’uno dall’altro. Hanno lasciato una fortuna enorme e due testamenti. Avevano nominato i nipoti come eredi in parti uguali, ma poiché uno degli originali è scomparso, l’intera eredità ricadrebbe ora legalmente sul parente più prossimo di Tamara: Bernard e la madre di 87 anni, Catherine. In breve: un pasticcio che ravviva le vecchie linee di conflitto già nella camera ardente. Il romanzo racconta gli eventi e gli incontri di questa giornata, e attraverso dei flashback ricostruisce un’intera epopea familiare. Il ritratto di Schenk ha tratti di critica sociale, ma il focus narrativo è sulle relazioni tra fratelli e sorelle, disegnate con sorprendente precisione. Una famiglia come tante è un romanzo intelligente, malvagio, amorevole, ironico e di rara onestà.
Melanie Weide­müller, Deutschlandfunk

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Questo articolo è uscito sul numero 1442 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati